venerdì 15 ottobre 2010

Pomodori, angurie e meloni. Di strada

 La rivoluzione dei contadini: li vendiamo noi, basta intermediari


Statale 128, bivio per Ussana. Canne, frasche, bandiere tricolori e quattro mori. Sul banco meloni, angurie, fagiolini. Arrivano dal campo che si estende dall'asfalto fino al cuore delle colline, dove la Trexenta si confonde con il Parteolla. È il negozio di Dario Murtas. Il negozio di una catena commerciale un po' particolare. Premiata ditta Vendita diretta. Pomodori, melanzane, susine, tutto il bene e il buono della terra a chilometri zero, per dirla nel gergo ecologista in voga. Quei campi alle spalle dei venditori sono una garanzia: freschezza, stagionalità, tracciabilità, meno inquinamento. «Facciamo da soli. Il nostro obiettivo è garantire i consumatori, avere la loro fiducia. Se la merce non è di gradimento, siamo pronti a sostituirla», dice Dario.
NESSUN GROSSISTA Nessun intermediario, nessun grossista. Nessuna delega. Prodotti portati (e venduti) direttamente dagli agricoltori: in strada, nelle case, in azienda, nei mercatini. È l'unico modo per raddrizzare i conti, sempre più in rosso. E per tenere in tasca quel poco che resta dal lavoro nei campi, per non finire nelle schiere sempre più folte dell'esercito in fuga dalle campagne sarde, che perde, in provincia di Cagliari, il 2,5 per cento di occupati all'anno e dove soltanto il dieci per cento degli addetti ha meno di 40 anni. Un mercato con prezzi da insulto: un quintale di grano vale la metà di vent'anni fa mentre gasolio e concimi sono raddoppiati. Ma i resistenti qualche volta sanno essere coraggiosi. La vendita diretta, fra Parteolla e Trexenta, è diventata un piccolo consorzio, con tanto di regole (un decalogo, per essere precisi) e presto con un marchio e un sito Internet. I coraggiosi hanno cominciato in cinque: Ussana, San Sperate, Senorbì, Guasila e Serdiana. Ma pare che la categoria sia in rapida crescita. Miracolo verde. Sono i primi nell'Isola a unire le forze, seguendo gli esempi di altre regioni, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana. Hanno messo, nero su bianco, un punto fermo. Garantiscono che i prodotti sul bancone o negli scaffali provengono dai campi dello stesso coltivatore-venditore o da aziende che aderiscono all'iniziativa. «È quello che stavamo sempre sognando, creare una rete tra produttori, collegare i nostri punti vendita», dice Marcello Pilloni, terreni a San Sperate, produttore di pomodori in serra e meloni. Punto-vendita: la sua azienda nel Paese museo o il mercatino cagliaritano nel piazzale davanti alla sede Uil (il sabato mattina): «Vogliamo vedere in faccia i nostri clienti, e spiegare che si possono fidare perché stanno acquistando un prodotto di qualità, che proviene dai nostri campi».
PRODOTTI SICURI Vogliono che si sappia che il loro prodotto è sicuro, che non arriva da mondi lontani, che non viene fatto maturare sui tir con il gas. Marianna Saba è la più giovane della compagnia: 24 anni, studia Viticoltura a Oristano, quattro fratelli tutti lontani dall'Isola, negozio nell'ingresso di casa a Senorbì, sistema economico, antico come il mondo. Ortaggi, frutta, olive, olio, marmellate: direttamente dai campi di Genna Olione. «Si può dire che sia nata qui. Se il portone è chiuso, basta bussare, io o mia madre Luisa apriamo. Credo molto al progetto. Spero che il sito Internet si faccia presto, servirebbe molto».
Coraggiosi e ottimisti. Alla faccia della cronica crisi dell'agricoltura. Pronti ad aprire le loro aziende ai consumatori per le visite guidate, in particolare a quei consumatori più attenti e esigenti, quelli che si organizzano nei gruppi di acquisto, anche on line. Garantiscono prezzi congrui e che nelle cassette della frutta non finiranno prodotti modificati geneticamente. «Solo col sostegno da parte dei consumatori la nostra agricoltura potrà sopravvivere. Sui prezzi dobbiamo dire che i nostri prodotti potranno costare meno o più dei mercati tradizionali o dei centri commerciali. Non possiamo permettere che il prezzo sia falsato dalle merci che arrivano da lontano. Noi però garantiamo la qualità», aggiunge Dario Murtas, fresco presidente del consorzio, battezzato Comitato promotore per la valorizzazione della vendita diretta (Pilloni è il vice). Ha una bella azienda di cento ettari (Mediterranea) nelle campagne di Ussana: 2800 quintali l'anno tra angurie (anche a pasta gialla) e meloni, vigneti, oliveti, grano e un allevamento di cavalli anglo-arabo-sardi nel cuore della tenuta, a Monte Trexenta. E il negozio sulla statale 128, passaggio continuo di pendolari e camionisti.
VALORE AGGIUNTO Loro hanno promosso l'idea, lo Sportello territoriale della Trexenta dell'agenzia Laore (in collaborazione con quelli del Basso Campidano e del Parteolla) le ha dato gambe. Battesimo nella sede di Suelli. Con un obiettivo: puntare sulla formazione degli addetti e su nuove forme di aggregazione delle produzioni. Dice la responsabile dello Sportello territoriale Paola Ugas: «Con la vendita diretta si punta a mantenere il valore aggiunto nelle aziende e a tenere alta la qualità dei prodotti. È una carta vincente, va gestita bene». Pare che siano disponibili anche finanziamenti per i consorzi di strada, secondo una legge regionale del gennaio scorso. Intanto i coraggiosi-resistenti vanno avanti. Hanno cominciato ognuno per conto proprio, in ordine sparso. Camminavano da soli, a un certo punto si sono ritrovati. «Ci siamo incontrati e abbiamo detto: proviamoci. Se vendo i pomodori all'ingrosso ricavo 40 centesimi il chilo, se li vendo in proprio incasso un euro. Però ci vuole onestà: i clienti devono essere sicuri che i prodotti sono nostri, che non andiamo al mercato a comprarli per poi rivenderli», dice Salvatore Baldussi, 62 anni, 49 di lavoro nei 40 ettari di Zinnipiri e Sibiolla a Serdiana (famiglia di agricoltori, da 25 anni vende in casa). È il medesimo spirito che anima Francesco Simbula, dipendente regionale in pensione, tornato tra i suoi campi di Guasila («A fare il Cincinnato e a riprovare le antiche varietà di grano sardo»). Dietro il banco hanno deciso di mettersi loro. Hanno voglia di fare, non di lamentarsi. Vogliono un marchio per pomodori, zucchine, pesche, uva, angurie, meloni, olive. Un bollino di qualità. Per far capire ai clienti che alle spalle del negozio c'è il loro campo. Senza trucchi.

fonte: www.unionesarda.it

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