domenica 31 maggio 2009

Mobilitazione per l'ex miniera di Furtei

La (ex?) miniera d’oro SGM di Furtei e i suoi 42 dipendenti, abbandonati dai proprietari canadesi, attendono di conoscere il suo destino. Nei giorni scorsi abbiamo dato spazio alle richieste di mobilitazione per scongiurare un disastro ambientale imminente in seguito alla mancanza di presidio e interventi urgenti per la messa in sicurezza dell’impianto e dei residui di lavorazione (per lo più acque acide ricche di cianuro e metalli pesanti). Il Sindaco di Serrenti Luca Becciu si è recentemente rivolto a tutte le istituzioni competenti per chiedere la disponibilità di mezzi e risorse affinché il personale della SGM, oggi a casa in cassa integrazione, possa tornare nella miniera per mettere in sicurezza, bonificare e ripristinare lo stato originario dei luoghi. L’Unione Sarda e la Nuova Sardegna hanno riportato brevemente, nelle pagine interne, la notizia di una situazione che potrebbe generare gravi rischi di inquinamento ambientale in tutto il Campidano, sino a Cagliari. TUTTO QUESTO CI SEMBRA TROPPO POCO RISPETTO ALLA GRAVITA’ DELLA SITUAZIONE. SuBarralliccu rivolge un appello ai lavoratori della SGM, a tutti i sardi che hanno a cuore la propria terra, ai cittadini di Furtei, Serrenti, Segariu, Guasila, agli amministratori comunali, ai politici, al Presidente della Regione Ugo Cappellacci (già Presidente del Consiglio di Amministrazione della SGM): incontriamoci sabato 13 giugno, alle ore 12, presso il bacino degli sterili (!) della Miniera d’oro SGM di Furtei. Insieme vogliamo vedere, capire, conoscere la situazione della miniera e dei residui inquinanti ancora presenti. Crediamo che una manifestazione di questo tipo possa attirare non solo l’attenzione dell’opinione pubblica, ma anche e soprattutto di coloro che dovrebbero, per mandato istituzionale, farsi carico di dare risposte urgenti ed efficaci al problema.

Come puoi aiutare la nostra iniziativa?
1. essere presente sabato 13 giugno dalle 11.30 in miniera;
2. inoltrare questo messaggio via mail, facebook, sms;
3. sensibilizzare stampa e giornalisti a partecipare all’iniziativa, pacifica, di conoscenza.


mercoledì 27 maggio 2009

Basta morti sul lavoro!

È successo ancora, stavolta qui da noi in Sardegna dove 3 operai sono morti all'interno degli impianti della raffineria Saras a Sarroch. L'incidente è avvenuto poco dopo le 14, in un impianto di desolforazione (Nh51) e i tre operai sarebbero morti per intossicazione da azoto, che è letale in pochi minuti.
Il primo operaio si sente male intorno alle 13.30, un altro chiede aiuto ai due rimasti all'esterno: tutti entrano nella cisterna, ma solo uno ne esce vivo mentre gli altri tre muoiono per le esalazioni tossiche sprigionatesi dai residui delle lavorazioni.
Una dinamica che troppe volte si ripete in Italia e quando intervengono i medici del 118 per i tre operai non c'era più niente da fare. Le vittime sono tutte di Villa San Pietro (Cagliari). Sono Daniele Melis, di 26 anni, Luigi Solinas, di 27, e Bruno Muntoni, di 52. Quest'ultimo era sposato e padre di tre figli. Erano dipendenti della ditta esterna Comesa arl. La Comesa, gruppo costituito nel 1998 dalla confluenza tra la Sarcomi spa e la Comes srl, conta circa 170 dipendenti e opera nel settore di carpenteria metallica e manutenzione di impianti industriali.
Dario Franceschini ha dichiarato: “Il tragico incidente avvenuto negli stabilimenti della Saras ci colpisce duramente. A nome mio e di tutto il Partito Democratico esprimo profondo cordoglio e vicinanza alle famiglie degli operai morti nell’incidente. Perdere la vita esercitando un proprio diritto è una cosa inaccettabile: ora è necessario che sia accertata con rapidità la causa e le eventuali responsabilità. Quanto accaduto deve spingere a tenere alta la guardia sulla sicurezza sul lavoro che deve essere un tema sempre al centro dell’attenzione della politica e del legislatore. Soprattutto oggi, quando la morsa della crisi si fa sentire con maggior forza e cresce il rischio di uno scambio tra le tutele sul lavoro con la possibilità di lavorare, è necessario chiedere a gran voce più controlli e più rigore”. Toni simili a quelli del segretario da Pierluigi Bersani, responsabile Economia del partito: “C’è chi perde il lavoro e c’è chi perde la vita sul lavoro. Questa è la realtà drammatica a cui ci richiama la tragedia di oggi. Non possiamo che ripeterci: è intollerabile che si muoia lavorando. Quel che si è fatto non basta, bisogna fare di più".
Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa la notizia ha espresso ai familiari delle vittime la sua vicinanza e il suo cordoglio a nome di tutto il Paese. Per il PD sardo ha parlato il commissario Achille Passoni: “Un’immensa tragedia che accresce il già lunghissimo elenco delle morti bianche. Occorre fare piena luce su quanto accaduto e individuare priorità e porre le condizioni perché questi episodi non possano ripetersi e la lunga catena di morti bianche possa essere spezzata”.Senatori PD: approvare il Testo Unico voluto dal Governo Prodi.Sempre oggi “un agricoltore è morto a Lanciano –ci ricordano i senatori del Pd Paolo Nerozzi, vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli incidenti e sulle morti sul lavoro, e Giorgio Roilo, capogruppo in Commissione Lavoro– è vergognoso che si debba assistere quasi quotidianamente a quella che ormai rappresenta una strage. Il ministro Sacconi, in questi mesi, davanti alle tante morti sui luoghi di lavoro che disgraziatamente si sono succedute, ha più volte assicurato un repentino varo di nuove norme per garantire la sicurezza dei luoghi sul lavoro. Dell'ambizioso piano più volte annunciato abbiamo visto proporre solo misure volte a deresponsabilizzare i datori di lavoro, abbassare le tutele per i lavoratori e, sostanzialmente, a tagliare le risorse indispensabili per la formazione e per le ispezioni del Ministero. Intanto le persone continuano a morire di lavoro. Il PD -concludono i senatori- lancia oggi un appello a Sacconi e, nella convinzione che in questo campo il governo e la sua maggioranza non abbiano messo in campo lo sforzo necessario per arginare il fenomeno tragico e quotidiano, chiede di evitare i grandi e vacui annunci e applicare integralmente il Testo Unico approvato dal governo Prodi”. Il governo riferisca alla Camera. È la richiesta di Paolo Fadda, deputato del Pd: “Il governo riferisca alla Camera al più presto sulle cause che hanno determinato la terribile scomparsa di tre persone – ha detto Fadda. Purtroppo, gli incidenti mortali sul lavoro continuano ad essere di drammatica attualità e perciò non possiamo mai dimenticare le parole del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che in occasione dello scorso 1 maggio ha sottolineato la necessità di un più forte impegno a non abbassare in alcun modo la guardia su questo versante sempre cruciale''.
E se la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia si dice vicina alle famiglie delle vittime Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato per mercoledì uno sciopero di otto ore, l'intera giornata lavorativa, nello stabilimento Saras. Dalle 6 i lavoratori dell'area industriale, circa 3.000 persone, aderenti alle tre sigle sindacali si asterranno dalle attività. Come preannunciato da Nicola Marongiu, segretario della Camera del lavoro di Cagliari, lo sciopero riguarderà tutte le categorie operanti nella zona: chimici, metalmeccanici ed edili. “Non sappiamo se l'accumulatore dove i tre operai sono morti fosse stato bonificato -spiega- certo, il gas che li ha uccisi non doveva essere presente al momento del loro ingresso della zona di accumulo, dove si svolge un particolare tipo di lavorazione sul gasolio”.
“La raffineria è un luogo ad alto rischio, non è prima volta che succedono incidenti mortali, ma mai erano stati di questa gravità. È un incidente gravissimo -ha detto il segretario generale della Cgil sarda, Enzo Costa- ma nessuno parli di fatalità, la pericolosità del sito era ampiamente nota”.

domenica 24 maggio 2009

USSANA: la maggioranza che non c'è più

Lunedì 18 maggio è scomparsa l'ormai “ex” maggioranza in Consiglio comunale.
Convocata l'assemblea comunale per approvare il rendiconto finanziario 2008, mezza Giunta comunale e gran parte dei consiglieri di maggioranza hanno disertato la seduta. Già da alcuni anni mancano all'appello il capogruppo di maggioranza, ed alcuni consiglieri in rotta di collisione con l'immobilismo amministrativo: tra cui alcuni militari candidati per ottenere l'avvicinamento, ma che per ragioni di servizio non possono garantire la presenza costante ai lavori del Consiglio comunale; recentemente si è dimesso il vicesindaco per incompatibilità e non è stato raggiunto un accordo “tra le parti” per la surroga. Le posizioni politiche attuali e future sono in alto mare.
Si è parlato di tante cose, ed "USSANA DEMOCRATICA" ha dato la propria disponibilità, specie in questo momento di grande difficoltà della maggioranza che si trascina da tempo. Tale difficoltà si è tradotta nel non aver risolto alcun problema prioritario: dal piano di risanamento (strade del condominio “Munserra” da 10 anni in attesa di sistemazione),viabilità urbana, illuminazione pubblica che non funziona, verde pubblico abbandonato, caseggiati scolastici in mezzo alle sterpaglie e non solo. Ma con le parole e le promesse non si arriva a niente e in questi dieci anni la nostra ussana ha perso molto come servizi e qualità della vita. L'esercizio finanziario molto scarno per assenza di progetti finanziati è stato approvato grazie al voto di un consigliere di opposizione, la maggioranza da sola sarebbe andata a casa!

Gruppo consiliare "Ussana democratica"

lunedì 18 maggio 2009

Scuola, quasi 2.300 tagli nell'isola: "Rischio di collasso per le lezioni"

Cultura negata: i nostri figli saranno sempre più penalizzati
Nell’isola non è solo la grande industria in agonia. La mannaia dei tagli colpisce la scuola con una violenza più forte di ogni previsione pessimistica. In Sardegna sono 2.262 i posti a rischio già in settembre. I docenti colpiti 1.688: 374 alle elementari, 677 alle medie, 604 alle superiori. A loro si uniscono 574 tecnici e ausiliari. E 37 le autonomie scolastiche cancellate (80 nel biennio). Una mattanza. Contro questi dati amari nell’isola stanno insorgendo tutti i sindacati: Cgil, Cisl, Uil, Gilda, Cobas, Ugl.
Ma anche le forze politiche, soprattutto nel centrosinistra, non sembrano intenzionate a stare con le mani in mano in attesa che il silenzio avvolga i caseggiati dove si fa lezione. Con loro si ribellano molte comunità, in particolare nei centri più spopolati, le Province, tanti sindaci e amministratori. Non manca il sostegno di parecchi maestri, docenti, genitori. L’Onda degli studenti che si prepara a riprendere il cammino delle proteste di piazza. «Ci negano diritti sacrosanti e strumenti culturali indispensabili per il futuro -è il commento più diffuso nelle aree maggiormente prese di mira dalla Riforma Gelmini- Così i nostri figli saranno ancor più penalizzati». Denunce e prese di posizione toccano ogni parte dell’isola.
Nell’Oristanese si parla di situazione irreale. Ad Allai gli abitanti minacciano di non votare alle Europee se verranno chiuse le elementari. Disagi si ventilano poi a Busachi, Nughedu Santa Vittoria, Suni, Montresta, Morgongiori. A Pattada i genitori, allarmatissimi, si sono riuniti in Comitato anti-tagli. Tensioni a Buddusò e Ozieri. Proteste a Desulo. Preoccupazione nei vicini centri di Aritzo, Belvì, Gadoni. Allarme in altri centri del Nuorese e dell’Ogliastra. A Mogoro la scuola delle sforbiciate comincia a spaventare. A Tresnuraghes manca persino il numero minimo previsto dal ministero per costituire la prima elementare. Corsi serali in pericolo in tante realtà urbane, a cominciare da Alghero.
Nel frattempo la Cisl ricorda come il 57% degli istituti non abbia i certificati di agibilità, la dispersione scolastica tocchi punte del 28% e la chiusura di troppe scuole venga data per scontata con eccessiva facilità. Non rassicurano le garanzie dell’Ufficio scolastico regionale: «Le riduzioni di personale saranno compensate dai massicci pensionamenti, in ogni caso s’interverrà mo in deroga dove possibile». Dice infatti Peppino Loddo, segretario regionale della Flc Cgil: «L’amministrazione scolastica, in Sardegna, è più realista del re: i 6.065 posti previsti dal Ministero per le primarie sono stati ridotti dalla Direzione regionale di 105, portando quindi l’organico a 5960 unità». Particolarmenti pesanti le sforbiciate in provincia di Oristano, secondo il sindacalista. «E in Barbagia -è il suo commento finale- non è stata accolta la richiesta delle famiglie di maggior tempo scuola: sono stati collocati bambini di diverse età in un una unica classe e si è dato luogo a un eccesso di aule sovraffollate».

mercoledì 13 maggio 2009

Centrali in Puglia, Sardegna e Piemonte contro i rischi di terremoti e inondazioni

La mappa dell'Enea. L'innalzamento dei mari mette fuori gioco larghi tratti di costa

In Sardegna, dalle parti di S. Margherita di Pula a sud. O anche sulla costa orientale, fra S. Lucia e Capo Comino. O più giù, davanti a Lanusei, alla foce del Rio Mannu. In Puglia, sulla costa di Ostuni. Lungo il Po, dal vercellese fino al mantovano, dove già esistevano le centrali di Trino e di Caorso. I siti dove localizzare le nuove centrali sono pochi e rischiano di essere molto affollati. Nei prossimi mesi, dovranno essere stabiliti i parametri, in base ai quali decidere dove collocare le future centrali. Sarà una fase di intenso mercanteggiamento con le autorità e le comunità locali, ma i margini di manovra sono ristretti anche dalla particolare conformazione geologica e costiera italiana. Si può partire dalla mappa dei possibili siti che il Cnen (poi diventato Enea) disegnò negli anni '70. E' una mappa, però, largamente superata dagli eventi. In molte aree si è moltiplicata la densità abitativa, che il Cnen considerava un parametro sfavorevole. Soprattutto, è cambiato il rapporto con l'acqua. Le centrali hanno bisogno di molta acqua per raffreddare i reattori (questa acqua circola, naturalmente, fuori dal reattore) e, per questo vengono, di solito, costruite vicino ai fiumi o al mare. Il rischio, quando si tratta di fiumi, sono le piene, più frequenti negli ultimi decenni. Ma è un pericolo relativo: la centrale di Trino Vercellese, sette metri sopra il livello del Po, è sopravvissuta all'asciutto a due piene catastrofiche. Il problema, in realtà, non è troppa acqua, ma troppo poca. Il riscaldamento globale sta diminuendo la portata dei fiumi e c'è il dubbio che, in estate, la portata del Po non sia sufficiente per il raffreddamento delle centrali, mentre, contemporaneamente, si acuisce il problema di salvaguardare le falde acquifere, ad esempio in una zona di risaie, come il vercellese.
L'alternativa sono le coste e l'acqua del mare. Ma il riscaldamento globale innalzerà progressivamente, nei prossimi decenni, il livello dell'Adriatico, del Tirreno e dello Jonio, ponendo a rischio allagamento centrali costruite per durare, mediamente, una cinquantina d'anni. Il Cnen, ad esempio, aveva indicato fra le aree più idonee il delta del Po e quello del Tagliamento, nell'Adriatico settentrionale. Ma il suo successore, l'Enea, definisce tutta la costa adriatica a nord di Rimini come la zona italiana a più alto pericolo di allagamento, con un innalzamento - minimo - del livello del mare di 36 centimetri. In effetti, quest'altra mappa dell'Enea ripercorre gran parte della costa italiana. Sia Piombino che l'area della vecchia centrale di Montalto di Castro, nel Lazio, ad esempio, scontano un innalzamento minimo del livello del mare di 25 centimetri. E lontano dalle coste? Qui, il problema sono i terremoti. Sono poche, come mostra la storia recente e meno recente, le zone italiane esenti dal rischio sismico. Secondo la carta dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, davvero al riparo dai tremori della terra ci sono solo, oltre alla Sardegna, l'area di confine fra Piemonte e Lombardia e l'estremo lembo della Puglia. Naturalmente, una centrale può essere costruita con le più avanzate tecniche antisismiche. Qui, però, il problema non è tanto - o soltanto - l'eventualità di uno scuotimento catastrofico, che spacchi il reattore e riversi all'esterno la radioattività. Il problema sono fenomeni che compromettano il funzionamento del reattore. In Giappone, la più grande centrale atomica al mondo (Kashiwazi-Kariwa, non lontana da Tokyo) è ferma da due anni, in seguito ad un terremoto. L'impianto era stato costruito per reggere terremoti fino al grado 6 della scala Richter, ma si è rivelato un parametro ottimistico. Il terremoto del 2007 è stato pari a 6,8 gradi, una differenza enorme: dato che la scala è logaritmica, un grado in più significa un terremoto trenta volte più distruttivo. Non ci sono stati pericoli alla salute pubblica o fughe di radioattività, ma la Tepco (Tokyo Electric Power) ha dovuto, dal luglio del 2007, fermare i reattori, con un danno economico di quasi 6 miliardi di dollari, solo nel primo anno. Solo in questi giorni la Tepco si prepara a riavviare uno degli otto reattori della centrale. Se sovrapponete la mappa dell'Enea sull'allagamento delle coste a quella dell'Istituto di geofisica, le aree a totale sicurezza (a prescindere dagli altri possibili parametri) che ne risultano sono quelle poche zone della Sardegna, della Puglia e del corso del Po. Qui, presumibilmente, si dovrebbero concentrare le centrali del piano nucleare italiano. Ma quante? Il governo ha finora parlato di quattro centrali. L'obiettivo dichiarato, tuttavia, è arrivare a soddisfare, con il nucleare, il 25 per cento del fabbisogno elettrico italiano. Le quattro centrali di cui si è, finora, parlato, arrivano, però, a poco più di un terzo. Secondo le previsioni della Terna, che gestisce la rete italiana, infatti, il fabbisogno elettrico italiano richiederà, già nel 2018, una potenza installata di 69 mila Megawatt. Le quattro centrali prospettate - che, peraltro, anche nell'ipotesi migliore, sarebbero completate 7-8 anni più tardi del 2018 - ne offrono solo 6.400, cioè il 9,2 per cento. Per arrivare al 25 per cento del fabbisogno, occorrono 17.500 Megawatt di potenza, quasi il triplo. In buona sostanza, per centrare quell'obiettivo non bastano quattro centrali da 1.600 Mw, come quelle ipotizzate finora. Ce ne vogliono 11. Tutte in Sardegna, Puglia e Piemonte? E a quale costo? L'industria francese calcola, oggi, per la costruzione in Francia di una centrale tipo quelle italiane, un costo minimo di 4,5 miliardi di euro. I tedeschi di E. On scontano, per la costruzione di una centrale analoga, in Inghilterra, un costo di 6 miliardi di euro. Se si ritiene più attendibile, nel caso italiano, la valutazione di E. On per la centrale inglese, il costo complessivo dei quattro impianti italiani sfiora i 25 miliardi di euro. Per 11 impianti, da varare in rapida successione, si arriva vicini a 70 miliardi di euro, una cifra superiore al 4 per cento del prodotto interno lordo nazionale.


mercoledì 6 maggio 2009

Cala il sipario su Festarch. Boeri: la Giunta non risponde

Il festival si teneva a Giugno, ma non ci sono più i margini.«Settembre ancora possibile»


Festarch non si farà. Non perchè la Regione abbia deciso di cancellare la terza edizione del festival mondiale di architettura: semplicemente, perchè la Giunta non ha deciso di organizzarla.
E ormai non c'è più il margine: i due precedenti edizioni, nel 2007 e nel 2008, si svolsero in giugno. Insomma, fuori tempo massimo per la vetrina della creatività fortemente voluta da Renato Soru. A confermare che l'appuntamento è praticamente saltato è Stefano Boeri, la grande firma dell'architettura chiamato alla direzione artistica insieme a Gianluigi Ricuperati.
Ma allora che fine ha fatto Festarch? «Bella domanda - commenta Boeri al telefono - vorrei saperlo anch'io. Abbiamo già mandato una proposta per la nuova edizione, speriamo che la Regione risponda». Il direttore artistico spiega quindi di aver inviato «una proposta già alla Giunta precedente, quella di Soru». Poi però c'è stato il cambio e Boeri racconta di aver «scritto una lettera al presidente Cappellacci un mese e mezzo fa, chiedendogli interesse e disponibilità a rifare Festarch: ma a quella lettera non ho avuto nessun riscontro. Avranno avuto altro da fare - aggiunge Boeri, quasi a scansare eventuali polemiche - sono tempi difficili per tutti». Certamente, il centrodestra non ha mai amato la rassegna ideata da Soru e che ha portato a Cagliari e Alghero le star dell'architettura mondiale. Dunque non viene difficile capire come mai Festarch non sia stata inserita nella programmazione del governo di Ugo Cappellacci. «Costosissima festicciola», la definì lo scorso anno l'assessore alla Cultura di Cagliari Giorgio Pellegrini. Il festival si teneva in giugno, ma a questo punto Boeri esclude la data possa essere conservata che se anche la Regione dovesse decidere per il si: «Ormai è difficile - spiega il direttore artistico - ma Festarch potrebbe tenersi in settembre o in ottobre. Aspettiamo», è il commento finale del direttore artistico. Sede delle prime due edizioni del festival fu la ex Manifattura tabacchi. Proprio nei giorni scorsi, nel complesso - secondo il Comune - ci sarebbe stato un crollo di calcinacci che ne ha impedito la visita in occasione di Monumenti aperti, con conseguente delusione dei tanti cittadini che si sono presentati al cancello di viale Regina Margherita. Per due anni, lo stabile è stato al centro di forti polemiche attorno all'utilizzo tra la giunta regionale di Soru e quella comunale di Emilio Floris. Ora anche in viale Trento il clima politico è cambiato e Festarch pare proprio al tramonto. E tira brutta aria anche per la Manifattura, che lentamente sta tornando nell'abbandono di un tempo.

martedì 5 maggio 2009

La Maddalena scende in piazza: «Garanzie certe per il futuro». Contestazioni per Cappellacci: assente, «prima vado a Roma».

Artigiani e commercianti, studenti e insegnanti, operatori turistici e operai. Esponenti politici, soprattutto del centrosinistra sardo, accanto a semplici cittadini. Duemila, più o meno, «in piazza per il futuro» dell'isola nell'isola: La Maddalena scende in strada per la manifestazione pubblica del dopo scippo. Il messaggio è chiaro: niente G8, va bene, ma governo nazionale e regionale devono garantire il completamento delle opere previste per il summit trasferito all'Aquila. Sono indispensabili per la riconversione dell'arcipelago dopo 40 anni di presenza militare americana. Ugo Cappellacci, presidente della Regione, non c'è: guarda caso, nel giorno della protesta ufficiale sceglie la cerimonia per il 148esimo anniversario della nascita dell'esercito italiano. A Cagliari, nel punto più lontano dall'ormai ex sede del vertice mondiale.
Che il governatore non avesse molto da dire, dopo la decisione di Silvio Berlusconi e Guido Bertolaso scoperta grazie alla stampa, era chiaro da tempo. Che sia in attesa di comunicazioni da palazzo Chigi lo conferma lui stesso, con una dichiarazione a margine della celebrazione con le stellette: «Mercoledì (domani, ndr) sarò a Roma», spiega Cappellacci, «dove incontrerò il ministro Altiero Matteoli e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta per discutere dei problemi del nord Sardegna, in particolare di La Maddalena. Credo sia più utile un incontro con gli amministratori locali dopo il vertice nella Capitale». Quando, ancora non si sa: «Spero di poterci andare entro la settimana».

È un pò poco, davanti a una manifestazione di questo tipo. Ma basta tanto per offrire il fianco all'opposizione, che si trova su un piatto d'argento l'ennesima possibilità di affondare il colpo su questo presidente sempre più in balia del suo pigmalione, il Cavaliere in persona. Allora, l'assenza della Regione e dei massimi vertici istituzionali (la presidente Claudia Lombardo era impegnata a fare gli onori di casa con l'ambasciatore del Belgio) «preoccupa e sconcerta». L'attacco è di Mario Bruno, capogruppo del Pd in via Roma: «Dopo aver ascoltato oggi tanti maddalenini preoccupati, riteniamo che la seduta straordinaria del Consiglio regionale non sia più rinviabile. La popolazione, per quanto solidale con gli abruzzesi, non si capacita delle ragioni che hanno indotto il governo ad infrangere il patto tra Stato e Regione. Chiedono interventi immediati e concreti per la riconversione turistica della loro isola: e il sopralluogo odierno nei cantieri dell'ex Arsenale dove i lavori sono ultimati al 90 per cento, rende ancora più inspiegabili le ragioni dello spostamento».
Fosse solo questo, per Cappellacci poco male. Ad aggiungere qualcosa è Gianluca Lioni, responsabile nazionale Terzo settore del Partito Democratico: «Dopo lo schiaffo istituzionale di non essere stato coinvolto, nonostante la legge preveda che il presidente della Regione partecipi al Consiglio dei ministri quando sono in discussione argomenti riguardanti la Sardegna, continua a muoversi come un don Abbondio. Dimostri di avere la schiena dritta e chieda al suo “papi" il mantenimento degli impegni presi su opere e infrastrutture».
Ironia, ma poca voglia di sorridere. Soprattutto tra i maddalenini: sedotti e abbandonati, nessuno dimentica l'exploit del centrodestra nell'isola alle ultime elezioni regionali, ma tutti preoccupati per il futuro dopo la scelta repentina di dirottare il G8 in Abruzzo. Da una pioggia di finanziamenti che ha creato il presupposto per la ripartenza dell'economia di La Maddalena alla paura di non vedersi riconfermare gli investimenti e le opere connesse. Dai riflettori di un evento internazionale all'oblio: la paura grossa è questa, quindi promettono di tenere alta l'attenzione. Nessuna disputa con gli abruzzesi, sia chiaro: la solidarietà non è in discussione e sarà il sindaco Angelo Comiti a portarla direttamente a L'Aquila con una visita ufficiale in programma nei prossimi giorni.
Quello che serve, però, sono garanzie. Il primo cittadino le chiede serie e concrete, dopo le 16 ordinanze firmate dal Consiglio dei ministri in due anni e cancellate nel giro di una mattinata: riguardano l'ex arsenale, il porto, i trasporti e tutta l'economia isolana: visto che i soldi stanziati facevano parte dei fondi Fas già destinati alla Sardegna, a prescindere dal G8 di luglio.
È il motivo -la confezione di una presa per i fondelli colossale- per cui la delusione è ancora più grande: a La Maddalena avevano creduto fortemente nello slogan “La Sardegna torna a sorridere”, invece per ora c'è un boccone amaro da mandare giù: molti, tra i manifestanti, hanno già indosso la maglietta con il nuovo ritornello: «Cappellacci non è il mio presidente». Da Roma le rassicurazioni sono generiche, sembrano fare più presa le promesse dei rappresentanti delle imprese impegnate nei lavori: assicurano le turnazioni 24 ore su 24, come se niente fosse successo, e la consegna delle opere nei tempi stabiliti. Se non altro «per una questione d'orgoglio», dice qualcuno. A che punto siano, lo sanno in pochi: l'accesso ai cantieri, ieri, era permesso a una delegazione ristretta di consiglieri regionali, guidati dal sindaco. Ad attenderli, fuori, c'era qualche centinaia di manifestanti bloccati dai marò del decimo reggimento San Marco: nessun incidente, solo contestazioni urlate a gran voce contro il governatore e il presidente del Consiglio. Ancora soldati, ma presto andranno via anche loro.

venerdì 1 maggio 2009

Giordania: "unità mobile" per cultura diritti donne.

Da Ussana in Giordania: Barbara Lilliu è la coordinatrice del progetto.
Corsi di formazione per giudici e avvocati, campagne di informazione dirette alle donne e anche una unità mobile, itinerante fra i villaggi, per incoraggiarle a denunciare le violenze di cui fossero vittime tra le mura domestiche.
E' il progetto per il quale una Ong italiana attiva in Giordania, l'Italian Consortium of Solidarity (Ics), ha appena ottenuto, con altre nove ong locali, un finanziamento dall'European Instrument of Democracy and Human Rights (Eidhr).
Il progetto, che sta per partire con la collaborazione del partner locale Mizan, mira a promuovere l'effettiva applicazione della Convenzione Onu per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw), entrata formalmente in vigore nei mesi scorsi anche in Giordania. E uno dei nodi più critici da affrontare sarà quello dei processi per i delitti d'onore, "nella maggior parte dei casi i colpevoli se la cavano - conferma Barbara Lilliu, coordinatrice del progetto - con pene irrisorie grazie alle attenuanti concesse dai giudici a chi, pur reo di omicidio, si ritiene abbia agito per ragioni di onore". Da qui dunque la necessità di formare proprio i magistrati, sia giudici che pm, ai principi giuridici sostenuti dalla Convenzione. "Ma i principali destinatari - sottolinea Barbara Lilliu - sono gli avvocati, coloro cioè che sono a più stretto contatto con la società civile e meglio in grado di farvi penetrare una nuova cultura dei diritti". Saranno loro infatti a avviare a loro volta una serie di altri corsi di formazione e campagne di sensibilizzazione mirate direttamente alle donne, e che copriranno gran parte del territorio giordano.
Per queste e' previsto appunto anche ''l'utilizzo di una 'mobile unit' -prosegue la rappresentante di Ics- che spostandosi di villaggio in villaggio darà l'opportunità alle persone vittime di violazioni di avere pareri legali su come denunciare le violenze stesse. Inoltre prepareremo materiali informativi sulla Convenzione e sulle leggi giordane''.
Fondamentali saranno, dunque, proprio i contatti diretti con le donne, prime vittime della violenza domestica in tutto il paese. Da un un convegno sul tema svoltosi il mese scorso ad Amman, sotto il patronato della regina Rania, e' emerso che l'Istituto nazionale di medicina forense ha registrato 600 casi di donne maltrattate nel 2008. Uno studio del ministero dello Sviluppo sociale, inoltre, ha evidenziato che l'80% delle vittime della violenza domestica sono donne sposate.