lunedì 29 settembre 2008

Contro la dispersione scolastica, gli interventi della Giunta regionale

Il Progetto Scuola della Regione Sardegna, in un momento in cui i tagli voluti dal governo nazionale rischiano di dequalificare la potenzialità della didattica, conferma l'impegno di ulteriori 30 milioni di euro stanziati sul bilancio ordinario per proseguire il programma che, attraverso la valorizzazione delle Autonomie scolastiche, mira ad innalzare la qualità dell'insegnamento, favorire il diritto allo studio degli studenti disabili, incrementare le competenze degli studenti ed elevare il successo scolastico, in coerenza con i protocolli europei.
"Il maggiore successo scolastico e l'incremento nelle eccellenze nei maturati di quest'anno sono dati più che positivi, che ci convincono a proseguire nella strada individuata per migliorare la scuola sarda che vogliamo diventi luogo di educazione alla cittadinanza e di valorizzazione delle capacità individuali di tutti, in coerenza con un basilare principio di pari opportunità", afferma l'assessore regionale della Pubblica istruzione, Maria Antonietta Mongiu. Gli interventi di supporto che la Regione Sardegna propone partono dalla definizione degli ambiti fondanti della competenza matematica, di lettura, scientifica e di problem solving secondo i protocolli Ocse–Pisa.
In particolare sulla competenza scientifica la Sardegna presenta un altissimo numero di studenti sotto il livello base, non solo negli Istituti professionali ma anche negli Istituti tecnici. Percentuali altissime di studenti - in questo tipo di scuole tra il 70 e il 40% - non sono in grado di accedere ad un livello di literacy scientifica che li metta in grado di leggere i giornali e di prendere decisioni consapevoli sugli argomenti di tipo scientifico-tecnologico che riguardano la vita quotidiana.
Anche le percentuali di studenti ai livelli più alti della scala di difficoltà non sono soddisfacenti: se è vero che i Licei, in genere, ottengono risultati migliori, le percentuali di studenti sardi a questi livelli, per tutte le competenze, sono più bassi sia della media Ocse complessiva sia della media nazionale dei Licei. Non si tratta di disponibilità di laboratori, di attrezzature informatiche o tecnologiche, in genere più presenti proprio nei tipi di scuole nei quali otteniamo peggiori risultati, ma di stile di insegnamento, più nozionistico che operativo o interdisciplinare.
Rafforzare le competenze e i saperi di base in ambito linguistico, logico, scientifico nella loro trasversalità e renderli utilizzabili nei contesti di vita e di lavoro; migliorare le relazioni con il contesto sociale e riconoscere il diritto alla formazione continua e ricorrente a ciascun individuo sono dunque gli obiettivi prefissi dall'intervento regionale che si definisce nel dettaglio sulla base dell'esperienza dell'anno precedente, attentamente monitorata dagli uffici preposti.
Fino ad oggi ben 414 Autonomie scolastiche su 426 hanno programmato le risorse loro destinate, attivando un numero di laboratori ben superiore alle aspettative: i dati relativi all'82% delle Autonomie scolastiche, indicano la conclusione di 6232 laboratori, di cui 3482 didattici e 2756 extracurricolari a cui hanno partecipato 86.239 studenti e 6272 esterni. L'intervento 2008–2009 prevede l'attivazione di laboratori linguistici, matematici, scientifici e di problem solving, rivolti all'intera popolazione scolastica.
Prevede inoltre l'attuazione di laboratori di lingua sarda, musica e arti applicate al di fuori del normale orario scolastico rivolti agli studenti ed aperti al territorio. I laboratori, che sperimentano metodologie e modalità didattiche innovative, sono tesi a motivare e favorire la partecipazione degli allievi, con un allargamento di prospettiva rispetto agli obiettivi dell'anno precedente, che tiene anche in considerazione le nuove istanze che convergono da più parti nel mondo della scuola e prevede strumenti di monitoraggio e valutazione. Un'attenzione particolare è riservata agli studenti portatori di handicap per i quali sono previste risorse tali da garantire la piena integrazione e la partecipazione ai laboratori.

mercoledì 24 settembre 2008

USSANA: Pronto un progetto da 70 mila euro

Barriere architettoniche via da San Sebastiano. Chiesa aperta e accessibile a tutti, anche ai disabili. Addio a Ussana alle barriere architettoniche: gli ostacoli che impedivano ai portatori di handicap di entrare nella chiesa parrocchiale di San Sebastiano, saran no presto solo un ricordo. «Realizzeremo un ingresso laterale destinato ai disabili», annuncia l'assessore ai Lavori pubblici Luigi Littera. Il progetto è pronto: con 70 mila euro (provenienti dal bilancio comunale) niente più barriere per gli invalidi, certi in sedie a rotelle, che finora hanno avuto in pratica precluso l'accesso alle funzioni religiose. Addio anche alle polemiche. Sulle difficoltà dell'accesso dei portatori di handicap alla parrocchia, a Ussana, si erano infatti regi- strate in passato prese di posizione e proteste. «L'abbattimento della barriere architettoniche in chiesa rimane solo una promessa», aveva segnalato qualche tempo una donna ussanese alla rubrica delle lettere all'Unione Sarda. «Qualcuno ha voluto strumentalizzare», hanno sempre replicato in Comune. Il progetto "chiesa aperta a tutti", rappresenta il completamento del vasto programma di restauro e valorizzazione della chiesa principale del centro campidanese. Prima era toccato al sagrato, ora il nuovo intervento in grado anche di mettere in risalto lo stile artistico-architettonico dell'edificio, ma non assolutamente di risolvere i problemi alla struttura dell'edificio: sia all'interno dove si era verificata una caduta di calcinacci dalla cupola, che al campanile, dalla cui sommità a maggio scorso era crollato l'orologio. «Servono molti soldi e ci stiamo attivando per reperirli», ripete l'assessore Littera.

Ignazio Pillosu

fonte: [http://www.unionesarda.it/]

venerdì 19 settembre 2008

Sardegna prima regione europea totalmente sul digitale

È arrivata l'ora dello «switch off». Dal prossimo 31 ottobre la Sardegna entrerà ufficialmente nell'era della tv digitale. Le vecchie trasmissioni analogiche spariranno per sempre dall'etere e senza decoder gli schermi resteranno neri. Dopo anni di sperimentazioni in tutta l'isola, compresi alcuni rinvii sulla data dello «switch off», e 330 mila decoder venduti con i contributi statali, il passaggio al digitale sarà finalmente definitivo. L'operazione verrà fatta nell'arco di due settimane, dal 15 al 31 ottobre. Si partirà dal sud dell'isola e gradualmente si arriverà fino alla provincia di Sassari. Dal 31 ottobre, tutte le emittenti televisive trasmetteranno esclusivamente sul digitale: i vecchi trasmettitori analogici verranno spenti per sempre. La Sardegna diventerà così la prima regione in Europa ad adottare integralmente questo standard.
Per vedere correttamente tutti i canali, però, sarà necessario risintonizzare tutti i decoder. Operazione semplice, ma che può essere molto difficile per gli anziani o per chi non abbia dimestichezza con le tecnologie.
Ma quali sono i vantaggi del digitale? Si tratta semplicemente della tv del futuro: migliore qualità di immagine e suono, molti più canali disponibili e tanti programmi visibili gratuitamente. Con la tv analogica i canali nazionali sono circa nove, con quella digitale si superano i 30. Grazie alla collaborazione con le istituzioni locali, inoltre, ci sarà la disponibilità di alcuni servizi di pubblica utilità riguardanti, per esempio, il lavoro, i trasporti e il tempo libero. Per chi non ne abbia già usufruito in passato, a partire dal 15 settembre potrà utilizzare un buono del valore di 50 euro, messo a disposizione dal ministero per l'acquisto di un decoder digitale presso tutti i rivenditori che aderiscono all'iniziativa. Un decoder di buona qualità costa circa 70 euro, ma attualmente se ne trovano a prezzi ancora più bassi. I più economici partono addirittura da 30 euro. In ogni caso è necessario un decoder per ogni tv posseduta e il contributo statale è uno solo per abbonato Rai. Il 18 settembre, all'hotel Mediterraneo di Cagliari, il passaggio al digitale è stato presentato ufficialmente da Paolo Romani, sottosegretario per le Comunicazioni del ministero per lo Sviluppo economico. A partire dalla stessa data, in tutta l'isola è stata lanciata una grande campagna pubblicitaria. È importante controllare che la tv sia dotata del ricevitore digitale integrato; se non lo fosse deve essere specificato con un cartello sia sul televisore esposto nel negozio, che sulla scatola di imballaggio. I venditori, infatti, sono obbligati a informare gli utenti che si tratta di una vecchia tv che non riceve i canali digitali. A partire da novembre, i costruttori non potranno più realizzare tv con ricevitori analogici e dal 1º giugno del 2009, le vecchie tv non potranno più essere vendute.

mercoledì 17 settembre 2008

Veltroni aveva ragione: il lupo perde il pelo ma non il vizio!

Pochi giorni fa proprio in questo blog, avevamo inserito un post riguardante la polemica sulle frasi sul fascismo dette da La Russa e Alemanno, con le conseguenti precisazioni fatte da Fini. Evidentemente la base "se ne frega" di quello che dice il suo leader, proprio come aveva fatto intendere Veltroni nell'intervento alla summer school del PD. Vi proponiamo per questo un articolo de L'Unità che riprende una lettera di Federico Iadicicco presidente di Azione Giovani Roma.

I giovani di An non possono che essere fascisti.

È in sostanza questo il messaggio che Federico Iadicicco presidente di Azione Giovani Roma, ha scritto in una lettera pubblicata sul sito http://www.azionegiovaniroma.org/. Il rappresentante dell'organizzazione giovanile di An prende così le distanze dalle ultime dichiarazioni del Presidente della Camera Gianfranco Fini che, dopo le polemiche scatenate dalle dichiarazioni di La Russa e Alemanno, aveva chiaramente invitato gli esponenti di Alleanza Nazionale a riconoscersi nei valori dell'antifascismo. Ma evidentemente, il suo messaggio non ha fatto breccia. Iadicicco parte da una constatazione: «Circa due anni fa, non nel 1943, il più importante sito della rete antifascista italiana, Indymedia, pubblicò un articolo di commento a una iniziativa di Azione Giovani di Roma e ritenne utile mettere vicino al mio nome anche il mio indirizzo di casa, con l'evidente intento di puntare l'indice contro di me e di indicarmi come bersaglio da colpire». Da questa constatazione il presidente di Azione Giovani Roma arriva a questa ironica domanda: «Come potrei dichiararmi antifascista?». Insomma, la sua è una questione personale. Ma non solo: «Sono andato un pò indietro nel tempo fra gli anni Settanta e Ottanta, comunque non nel 1943, e mi è venuto alla mente che alcune decine di ragazzi come me, che facevano quello che faccio io oggi, sono stati uccisi dall'odio degli antifascisti e francamente a quel punto sono crollato» continua la lettera. Iadicicco arriva a questo punto alla sua conclusione: «Ce l'ho messa tutta per trovare un motivo valido per essere antifascista ma non l'ho proprio trovato anzi ne ho trovati molti per non esserlo». Ma quella di Iadicicco non è solo la lettera di un giovane nostalgico. È la lettera di chi parla a nome dei giovani di An, per i quali chiede a tutti comprensione: «Ti prego di capirmi - dice ai lettori - e con me tutti i ragazzi di Azione Giovani» perchè «noi non possiamo essere, non vogliamo essere e non saremo mai antifascisti». Pina Picierno, ministro ombra delle Politiche giovanili, dopo aver definito «preoccupante» il documento di Iadicicco afferma: «Non è che l'ennesima testimonianza del fatto che, purtroppo, le coraggiose affermazioni di Fini alla festa dei giovani di An non sono condivise dalla stragrande maggioranza del partito». Soprattutto da quella parte giovane, quella chiamata a costruire il futuro. Evidentemente ancora ancorata al passato.

fonte: [www.unita.it]

lunedì 15 settembre 2008

Governare col trucco

Sono arrabbiata. Sono fiera di esserlo. La rabbia aiuta a non abituarsi a tutto. Ho sentito le parole del ministro Carfagna. Diceva: «Io provo orrore per le donne che vendono il proprio corpo per denaro». Parlava forse di un suo calendario? No, parlava delle prostitute o meglio: solo di quelle che stanno per strada. Perché non succede niente? Perché non telefoniamo, chiamiamo, bussiamo, usciamo per strada? Forse ci stiamo davvero abituando a tutto.
Laura Guasti, Firenze

Più che altro stiamo cadendo nella trappola magistralmente ordita in anni di politica televisiva da Berlusconi e dai suoi ministri: discutere dei dettagli, attaccarci agli slogan, accapigliarci su una scemenza di facciata senza arrivare mai alla sostanza delle cose. Il grembiule, il voto, la bella cordata di imprenditori che «vuole salvare la compagnia di bandiera», la tassa abolita, l’immondizia sparita, l’esercito per strada che così sei più tranquillo quando esci la sera. Chi non vorrebbe salvare Alitalia, camminare in strade pulite, pagare meno tasse, avere figli che imparano in classe le regole della convivenza e quando tornano a casa che è buio non debbano imbattersi in prostitute abbrutite? La gente di sinistra, forse? E allora che problema c’è: ecco qua il governo del fare, lasciatelo lavorare. La questione, purtroppo, è che è un trucco. È il gioco delle scatole: una bella scatola col fiocco da esibire, l’altra marcia da nascondere. Le tre carte. I limoni legati col nylon alle piante del G8, la calza sull’obiettivo che maschera le rughe. È sempre quel trucco lì, una toppa, e poi via per settimane a parlare del fiocco. È evidente che lo scopo della proposta Carfagna non è quello di combattere la prostituzione: è un progetto di decoro urbano, il suo. Una questione di ordine, di eleganza dell’inquadratura. L’obiettivo è mostrare strade sgombre di viados. Guardate che pulizia. Se volesse combattere la prostituzione dovrebbe occuparsi della tratta di essere umani, di mafia del commercio sessuale, di chi fa entrare in Italia milioni di ragazzine senza documenti e poi le riduce in schiavitù, di come faccia e di chi glielo consenta. Dovrebbe poi anche occuparsi dell’altra prostituzione, quella tutta italiana e non di strada: la prostituzione «pulita» delle studentesse che ricevono in studi che sembrano quello del dentista e poi la sera vengono a fare la baby sitter a casa tua, ragazze ben pagate e ben consapevoli della loro scelta, del resto motivata dalla richiesta di un esercito di uomini «per bene» che saldato il conto tornano in ufficio. Non lo fa, naturalmente. Allo stesso modo Gelmini esibisce la sua riforma come quella del grembiule e dei voti in pagella, un bel ritorno all’ordine antico: peccato che tagli 90mila posti da maestro e azzoppi la scuola. La scatola vuota e ben ripulita dai debiti della cordata Alitalia, le tasse comunali che cambiano nome, l’esercito che fa la guardia alle discariche ma si dimentica dei treni dei tifosi. È sparita la camorra, a Napoli? Gomorra era uno scherzo? Certo che no, ma conta la foto. Un bell’annuncio, un bel grembiule blu, quattro soldati con la mitraglietta cosa vuoi che sia se poi alle volanti hanno tagliato la benzina. Devono solo stare fermi, tanto. E poi tutti giù a parlare di estetica, pazienza per l’etica.

Concita De Gregorio
fonte: [www.unita.it]

domenica 14 settembre 2008

"Fascismo? Fini chiude una ferita, non so il suo mondo"

“Sottolineo l’importanza di quel che ha detto Fini. È un passo importante nell’evoluzione di una persona, non so quanto per tutto il suo mondo” . Dalla summer school del PD a Cortona Walter Veltroni commenta le affermazioni con le quali il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha condannato totalmente il fascismo, cercando di chiudere le polemiche che per tutta la settimana sono state alimentate da Gianni Alemanno e Ignazio la Russa. Di fronte ai ragazzi di destra di Azione Giovani, Fini è stato molto duro: “Chi è democratico è a pieno titolo antifascista, la destra deve riconoscersi nei valori dell'antifascismo. I resistenti stavano dalla parte giusta, i repubblichini dalla parte sbagliata” e dopo i fischi ricevuti ha continuato: “Non si può equiparare chi stava da una parte e dall'altra. Onestà storica è compito di una destra che vuole fare i conti con il passato e dire che non è equivalente chi combatteva per una parte giusta e chi, fatta salva la buona fede, combatteva dalla parte sbagliata. La destra politica italiana e ha maggior ragione i giovani devono senza ambiguità dire alto e forte che si riconoscono in alcuni valori della nostra Costituzione, come libertà, uguaglianza e solidarietà o giustizia sociale. Sono tre valori che hanno guidato il cammino politico e ribadire che la destra vi si riconosce è un atto doveroso. Se in Italia - ha aggiunto Fini - non è stato così agevole, è perché non c'è stata una destra in grado di dire che ci riconosciamo in pieno nei valori antifascisti". Ed è sembrato rivolgersi ad Alemanno quando ha detto che confrontandosi con la storia “serve la consapevolezza che un periodo storico va giudicato nel suo complesso, e il giudizio complessivo da parte della destra del periodo del fascismo storico, dal 1922 al 1945 deve essere negativo, in ragione della limitazione e poi della soppressione della libertà. Non possiamo prescindere dai dati storici, il passato non lo possiamo né ignorare, né mistificare. Il presidente della Camera ha scandito a chiare lettere che non solo le leggi razziali sono state colpe gravi del fascismo, ma anche la soppressione della libertà, la negazione dell'uguaglianza e la dichiarazione della guerra”. Il segretario del PD fa notare come “Napolitano e Fini sono dovuti intervenire come figure istituzionali, hanno dovuto fare quelle affermazioni per via delle parole di chi attualmente è sindaco di Roma e Ministro della Difesa. È un problema istituzionale perché non hanno parlato per sventatezza, ma perchè pensano realmente quello che hanno detto sul fascismo. E secondo me è più grave”. Così le parole di Fini “hanno chiuso una ferita. Ma per riaprirla può bastare un’intervista, una dichiarazione avventata. Spero che non si doppino parole e pensieri e ci si metta davvero in sintonia con la nostra Costituzione”.

martedì 9 settembre 2008

Il Papa in Sardegna: anche Ussana presente

Da tutta la Sardegna un gran numero di fedeli è giunto a Cagliari per assistere alla solenne celebrazione eucaristica presieduta da Benedetto XVI. La visita del Santo Padre in città è stata molto attesa da tutti i fedeli sardi ed è stata preceduta da tutta una serie di manifestazioni collaterali. Nei sotterranei del Palazzo municipale di Cagliari, recentemente restaurati, è stata allestita una mostra all’interno della quale è visibile pure il simulacro di san Pietro seduto nel trono, di proprietà della comunità parrocchiale ussanese. Come Paolo VI e Giovanni Paolo II, anche papa Ratzinger dunque ha voluto rendere omaggio alla Madonna di Bonaria nel centenario della sua proclamazione a Patrona massima della Sardegna. Più di centomila persone si sono radunate di buon ora nel piazzale antistante la scalinata della basilica e nelle strade adiacenti al sagrato. Fra essi ha preso parte all’eccezionale evento anche un nutrito gruppo di parrocchiani ussanesi, che, per arrivare in tempo alla celebrazione eucaristica, si sono alzati di buon’ora per partire alla volta di Cagliari intorno alle sette del mattino. Alla messa ha preso parte anche il Coro polifonico parrocchiale ussanese, che, al suo completo, ha eseguito, assieme ad altri 600 coristi provenienti da tutta l’isola, i canti che hanno animato la liturgia. L'intero coro è stato diretto dal sacerdote ussanese, don Albino Lilliu. Fin dalle prime ore del giorno, la città capoluogo si presentava ai pellegrini piena di gruppi provenienti da tutta l’isola. Unici mezzi circolanti i tantissimi pullman carichi di gruppi e le navette del Ctm che, per tutta la mattina, hanno fatto spola, carichi di pellegrini, dai parcheggi fino al viale Colombo. Una grande emozione ha suscitato in tutti i presenti il passaggio della “papa mobile”, che è arrivata nell’area intorno alle dieci e un quarto. In tutto il percorso, sono stati davvero imponenti gli applausi e i saluti dei presenti, i quali, armati di fotocamere, videocamere e telefonini, hanno immortalato il momento del passaggio di Benedetto XVI in ogni settore. In questo modo, ciascuno potrà dire di essere stato presente a questo momento davvero unico. Un grande bagno di folla per il Santo Padre, che è apparso a tutti, grazie ai numerosi maxischermo collocati in tutta l’area, molto emozionato e felice di essere venuto, come già i suoi predecessori, a visitare la comunità cattolica sarda. Rivolto ai presenti, Benedetto XVI ha lanciato parole forti, che sicuramente faranno discutere, sull’esigenza di avere una nuova classe di politici cattolici. Già i giornali di lunedì hanno ripreso in prima pagina il discorso di Ratzinger. L’abbraccio dei fedeli sardi non è stato limitato alla sola mattinata; nel pomeriggio, infatti, giovani e meno giovani hanno accolto Benedetto XVI nel largo Carlo Felice. Rivolto ai tanti ragazzi presenti ha detto: «Il possesso dei beni materiali e l’applauso hanno sostituito il lavorio su se stessi che serve a formare lo spirito e la personalità autentica. Cari giovani, si rischiano pericolose scorciatoie nella ricerca del successo, consegnando la vita a esperienze precarie e fallaci». Ha poi aggiunto: «I valori importanti per costruire una società fraterna e solidale […] sono famiglia, formazione, fede. Sono queste le vie che dovete seguire per garantirvi una seria formazione intellettuale e morale». L’aereo con a bordo il pontefice è decollato intorno alle 19 dall’aeroporto di Elmas; ultimo atto di questa eccezionale giornata che tutti i sardi ricorderanno con profonda emozione.

Andrea Pala

lunedì 8 settembre 2008

Ritorno al passato? (Ussana Antifascista)

La Destra Italiana torna alla riscossa sul tema del Fascismo. Molto probabilmente è una tecnica prettamente politica per distrarre l'opinione pubblica dalla grave situazione sociale che sta attraversando l'Italia e per distogliere gli italiani dalle ultime scelte fatte dal governo Berlusconi.
Ovviamente in Italia l'informazione non ci aiuta ad avere un quadro ben definito.

giovedì 4 settembre 2008

Le buone notizie italiane non sono notizie

Dopo gli importanti premi ottenuti dai film italiani “Gomorra” ed “Il Divo” al festival di Cannes, i giornali italiani pubblicano ora sterminati articoli sui rischi derivanti dal fatto di lavare pubblicamente i panni sporchi del paese. Il primo film si basa sul fantastico libro di Roberto Saviano sulla mafia campana, la camorra. Anche il film è realistico e vibrante, ha la stessa forza e lo stesso piglio asciutto della versione scritta. Gli attori sono eccellenti, il regista è praticamente sconosciuto e ha “solo” 40 anni. Una delizia nel panorama culturale italiano.
L'altro film è il ritratto di uno dei più misteriosi e ambigui personaggi del dopoguerra italiano, Giulio Andreotti. “Il Divo” è il titolo del film sul più volte presidente del consiglio che viene sospettato di simpatie verso la mafia. Il film è la naturale continuazione di molti altri eccellenti film sugli oscuri segreti del passato dell'Italia.

Niente di nuovo sotto il sole, dunque. Eppure è la prima volta da parecchio tempo che il cinema italiano riceve un’accoglienza così calorosa all’estero. Il mio parere personale è che la crisi culturale, economica, politica e sociale del paese stia finalmente cominciando a lasciare un'impronta creativa nell'arte.
Molti analisti sociali italiani sospettano invece che questo tipo di film funzionino a livello internazionale perché non fanno altro che confermare al pubblico straniero l’immagine negativa dell’Italia. Il popolo che sceglie Silvio Berlusconi come presidente del consiglio continuerebbe quindi a inquietarsi a causa di ciò che gli altri “davvero” pensano degli italiani stessi. Perché non raccontate mai tutte le cose allegre, simpatiche e belle che facciamo?
Questo tipo di commenti giunge talvolta anche da versanti diplomatici: perché riferisci solo le notizie negative dell’Italia? Perché non fai un servizio sulle forze di pace italiane in Afghanistan ed in Libano, invece della tragedia rifiuti in Campania, della corruzione politica e della mafia?
“No news are good news” [Nessuna nuova, buona nuova, N.d.T.], si è soliti dire. Si potrebbe anche girare la frase e dire che “good news are no news” [Le buone notizie non fanno notizia , N.d.T.]. Questo lo sanno quasi tutti nel nostro settore, mentre risulta praticamente incomprensibile per chi vede il giornalismo dall’esterno.
Così, mentre “Gomorra” ed “Il Divo” riscuotono grandi successi all'estero, gli italiani si siedono sul divano per vedere “I Cesaroni” in TV. La serie tivù sulla famiglia Cesaroni, del quartiere Garbatella di Roma, ha battuto ogni record di pubblico della televisione italiana. Il Corriere della Sera ha appena cominciato a vendere il dvd della serie insieme al giornale ad un prezzo vantaggioso. Il successo è assicurato. TUTTI guardano “I Cesaroni”.
La serie racconta la dura realtà quotidiana attraverso la vita di due fratelli, di cui uno è vedovo e gestisce un ristorantino alla Garbatella. L’uomo si è risposato con un suo amore adolescenziale, dopo che lei si è separata dal marito. Insieme hanno cinque figli, di cui due sguaiatamente bellocci ed innamorati l’uno dell’altra. La donna ha vissuto a Milano molti anni, e così sia il sud che il nord sono rappresentati. L’altro fratello è scapolo e verginello! Tutti i tentativi di appaiarlo a qualche simpatica signora sono vani. Ovviamente, almeno fino ad ora, non è gay, il Papa ce ne scampi.
Di quando in quando, “I Cesaroni” tratta anche di questioni “moderne”, come l’omosessualità e l’immigrazione, ma nel complesso la serie esprime soprattutto l’idealizzazione tutta italiana della famiglia come istituzione e come unico porto sicuro dell’individuo in una società ostile e caotica.
Nella serie tutti sono gentili e le cose finiscono sempre bene. Tutti sono responsabili delle proprie azioni e chiedono scusa quando sbagliano. Tutti sono imbarazzantemente puri e perfettini come gli italiani reali. Ma qui cominciano e finiscono i paralleli con la realtà. “I Cesaroni” mostra purtroppo la famiglia e la società italiane così come gli italiani vorrebbero che fossero, non come sono. Questo dramma tivù, zuccheroso ed armonico, non si vende facilmente all’estero. È più facile ingannare sé stessi che gli altri.

Articolo pubblicato Martedì 3 Giugno 2008, in Svezia.

mercoledì 3 settembre 2008

"A scuola tornano i voti"

NEWS: Gelmini: taglieremo 87 mila insegnanti in tre anni. Il ministro dell'Istruzione annuncia una riduzione del 7% della spesa. "Il 97% delle risorse è bloccato dagli stipendi", ha detto. E aggiunge: "Come si può altrimenti investire nel merito? fonte: (http://notizie.tiscali.it/)
Forse tradita dall'entusiasmo, il ministro dell'Istruzione (ex pubblica) Mariastella Gelmini guida la folta lista dei ministri super-dichiaranti, annunciando ogni giorno una novità salvifica. Ieri è stato il turno del ritorno al voto, che segue il ritorno del grembiule, il ritorno alla maestra unica, il ritorno della buona condotta e un'altra messe di ritorni, tutti implicitamente o esplicitamente motivati dalla ripulsa del famoso “spirito sessantottino” che con il suo venefico lassismo avrebbe devastato la scuola italiana nel seguente quarantennio. Volendo, si potrebbe obiettare che tutti questi ritorni hanno qualcosa di refluo e di platealmente nostalgico, dunque poco attinente al concetto di “nuovo” e “innovativo” che riluce sulle insegne della destra trionfante. Più che alla scuola gentiliana alludono a quella deamicisiana, con i buoni e i cattivi bene incolonnati sulla lavagna (sempre che arrivino i soldi per comperare il gessetto). Un pò come se il ministro del Lavoro volesse abolire il weekend lungo, culla della fannullaggine privata e pubblica, quello dello Spettacolo rilanciare la censura, quello degli Interni le cariche a cavallo, e via via rimpiangendo quell'Italietta finto-proba, moralista e classista che il povero Sessantotto provò in effetti a seppellire, salvo poi inciampare, nel 2008, nelle sue ossa bene aguzze. Ma fare il ministro della scuola, in questo paese e con questa scuola depressa e impoverita, è un mestiere così difficile che non regge il cuore a infierire più di tanto. La buona volontà del ministro merita la sufficienza (un “sei politico”, parlando da sessantottini incanutiti), grembiule e voti e maestra unica possono perfino trovare qualche pedagogista consenziente, e pazienza se non una delle novità annunciate è esente da un forte odore di naftalina. Per contro, non c'è genitore o docente con il sale in zucca che non avverta la necessità di irrigidire qualche regola, e rattoppare qualche falla provocata dal deficit di autorevolezza degli adulti. Quello che però vorremmo infine sapere, da un ministro che annuncia di voler rivoltare la scuola e redimerla dei suoi peccati, è se non crede che, nel pacchetto di provvedimenti che va snocciolando un giorno sì e l'altro pure, manchino almeno due intenzioni ben più strutturali della riforma delle pagelle. La prima intenzione è restituire ai docenti dignità sociale e dunque un censo adeguato, senza il quale è puramente insensato pretendere che le persone di qualità (del Nord e del Sud) puntino alla carriera scolastica. La passione e la vocazione, da sole, non bastavano nemmeno a tenere insieme la scuoletta del Regno, dove pure il maestro e il professore godevano della venerazione di un popolo ancora semianalfabeta: figuriamoci oggi, che l'intero apparato pubblicitario-televisivo (se il ministro non ne ha mai sentito parlare, chieda al suo premier) ha inculcato in grandi e piccini l'idea che i quattrini sono tutto, e tutto il resto è appena una variabile di scarso interesse. Gli analfabeti si prostravano ai maestri, gli attuali analfabeti di ritorno li disprezzano. La seconda intenzione sarebbe ridare alla scuola pubblica la sua vecchia, indiscussa centralità ideologica (sì, ideologica) che è tutt'uno con la sua identità, sostanzialmente immutata dal Regno al fascismo alla Repubblica: quella di cardine formativo di un popolo, di uno Stato, di una comunità di cittadini. L'idea balorda e pericolosa -sovversiva, direi, perfino più del Sessantotto…- che la scuola pubblica sia solamente una delle scuole, una delle possibilità formative, non solo ha stornato risorse altrove, ma ha parzialmente svuotato di orgoglio e di certezze l'intero ambiente: esattamente come se le Forze Armate sapessero di essere parificate a eserciti privati, a pari titolo destinatari di denaro pubblico nel nome della “libertà di scelta”. In parallelo, avanzava nel Paese l'idea che “pubblico” fosse comunque sinonimo di inerzia, parassitismo e qualità inferiore: per la prima volta nella storia d´Italia. In una comunità di consumatori e non più di cittadini, di “profili professionali” da valutare e impostare fino dalla prima infanzia e non più di giovani da formare alla cultura e alla dignità personale, come potrebbe mai rimotivarsi una scuola pubblica svilita dai suoi stessi governanti, stretta tra la cultura aziendalista e quella consumista, travolta dalla rivoluzione tecnologica senza poterla affrontare ad armi pari (che fine ha fatto la promessa proto-Berlusconiana di “un computer per ogni studente”?), insicura del suo presente economico e, quel che è peggio, del suo futuro istituzionale? Creda, ministro Gelmini, nessuno può permettersi, con i tempi che corrono, di contrapporre pregiudizi “libertari” ai suoi pregiudizi vagamente autoritari. Ma sconcerta non sentire più, da molto tempo, un orgoglio scolastico che si fondi sull'orgoglio pubblico, sulla volontà politica (tradita anche dai governi di centrosinistra) di fare della scuola di Stato, costi quel che costi, la prima anzi la primissima delle priorità politiche e finanziarie. Gli insegnanti si sentono soprattutto sgridati, accusati di essere impreparati, sciatti, assenteisti e magari meridionali. E il loro essere malpagati, secondo lo spirito dei tempi appare più come una colpa che come un torto subito. Avrebbero bisogno dell'esatto contrario: di un ministro che batta i pugni sul tavolo e pretenda risorse, quattrini e rispetto in pari misura. Un ministro che sia il primo dei docenti e non la loro controparte. Come può pretendere rispetto e stima dagli studenti una scuola che non ha più il rispetto e la stima dei politici che la reggono?

Michele Serra