Italia ottocentesca
[tratto da: http://ugolini.blogspot.com/]
Una fotografia in bianco e nero quella scattata dalla Banca d’Italia. Come i ritratti d’altri tempi, frutto di tecnologie poco avanzate. Così vediamo da una parte famiglie che arrancano. Una su quattro è indebitata, una su due deve cavarsela con meno di 26.000 euro all’anno. Questo è il nero. Poi c’è il bianco: esiste un ristretto gruppo di italiani, il dieci per cento, che, tra case e titoli finanziari possiede il 45% della ricchezza di tutti gli italiani. È l’elite di quelli che ce l’hanno fatta. La vera “Casta”. Il vertice di una piramide che si regge su una massa sterminata. Sembra un ritratto ottocentesco.
Un ritratto che fa rabbrividire. Soprattutto pensando che queste stesse famiglie, quelle dei 26 mila euro all’anno, magari avevano coltivato di recente una speranza. Il governo di Romano Prodi, stava per affrontare una piattaforma dei sindacati che parlava appunto di redditi, fisco, prezzi, tariffe. Forse era la volta buona, anche se in ritardo. Per ridare dignità a tanti dopo aver cominciato a risanare i conti del Paese. Era l’inizio di un’inversione di rotta. È stata bloccata, spenta. Ed ecco che in queste stesse ore della crisi politica che non mostra sbocchi tranquillizzanti, irrompe una questione sociale scandalosa. Più scandalosa di tante bruttezze di cui ci cibiamo tutti i giorni, poiché spesso passa inosservata o nell’indifferenza generale.
Le cifre sopra riportate sono ancora più eloquenti se si considera la fonte. Non provengono da uno dei tanti istituti di ricerca magari accusati di scarsa credibilità. La fonte è la Banca d’Italia, una specie di riconosciuto massimo tribunale del sapere economico. Che ha pronunciato, con le sue cifre asettiche, una requisitoria. Ma chi sono i responsabili di questa Italia così iniquamente diseguale? Perché i redditi delle famiglie dei lavoratori (non di altre categorie sociali) sono cresciuti in sei anni, dal 2000 al 2006, dello 0,96%? Una cifra infima. Corrisponde ad un blocco quasi totale dei salari, dovuto al fatto che gli aumenti in busta paga erano spazzati via dagli aumenti nei negozi e nei servizi. Perché i giovani che lavorano sotto i 30 anni dispongono di un reddito di meno di 22.500 euro l’anno?
Per dare una risposta compiuta bisognerebbe rifare il cammino di questi anni tra governi scialacquoni che abbassavano certo le tasse di quel 10 per cento al vertice della piramide, ma per poi non tenere sotto freno i conti pubblici. Fino all’ultima esperienza governativa che al giusto rigore su quei conti, ha accompagnato una seria e fruttuosa lotta agli evasori fiscali ma ha avuto dubbi e titubanze nell’affrontare il doveroso capitolo della tassazione delle rendite finanziarie (sempre quelle del 10 per cento). Un tabù intoccabile. Così come la coalizione di centrosinistra è stata dilaniata e ritardata da divisioni e contorcimenti sulle cose da fare in materia sociale. Basti pensare alle vicissitudini del decreto sul welfare. Eppure il governo Prodi aveva cominciato un cammino, fatto di prime misure parziali, magari senza ben spiegare i possibili approdi finali, la strategia, gli sbocchi. Senza sapere indicare un possibile modello sociale capace di capovolgere quella piramide descritta oggi dalla Banca d’Italia.
E poi c’è stata spesso per milioni di lavoratori italiani la fatica di strappare il rinnovo dei contratti di lavoro, nella loro battaglia continua per ottenere modeste “mercedi” e diritti insopprimibili. Nei confronti di imprenditori che spesso, come dimostrano le recenti sortite di chi pure intende assume vesti moderne. Uomini d’industria che preferiscono alla dialettica sindacale, al riconoscimento di ruoli diversi, l’elargizione unilaterale, apparentemente appariscente.
Ed ora? Ora ci penserà la pimpante coalizione di Berlusconi, Mastella, Fini, e quant’altri? È anche di fronte a questi dati sociali assordanti che bisogna riflettere. La “crisi” è anche questa. Non si può, così, non sperare nei tentativi, in primo luogo quello del Capo dello Stato, di rendere meno pesanti non solo le vicende di oggi ma anche quelle di domani. Per impedire che si prosegua nel ricorso a impianti elettorali che producono governi poco produttivi per questa Italia. E soprattutto per quelle famiglie in attesa descritte dal rapporto della Banca d'Italia.
Una fotografia in bianco e nero quella scattata dalla Banca d’Italia. Come i ritratti d’altri tempi, frutto di tecnologie poco avanzate. Così vediamo da una parte famiglie che arrancano. Una su quattro è indebitata, una su due deve cavarsela con meno di 26.000 euro all’anno. Questo è il nero. Poi c’è il bianco: esiste un ristretto gruppo di italiani, il dieci per cento, che, tra case e titoli finanziari possiede il 45% della ricchezza di tutti gli italiani. È l’elite di quelli che ce l’hanno fatta. La vera “Casta”. Il vertice di una piramide che si regge su una massa sterminata. Sembra un ritratto ottocentesco.
Un ritratto che fa rabbrividire. Soprattutto pensando che queste stesse famiglie, quelle dei 26 mila euro all’anno, magari avevano coltivato di recente una speranza. Il governo di Romano Prodi, stava per affrontare una piattaforma dei sindacati che parlava appunto di redditi, fisco, prezzi, tariffe. Forse era la volta buona, anche se in ritardo. Per ridare dignità a tanti dopo aver cominciato a risanare i conti del Paese. Era l’inizio di un’inversione di rotta. È stata bloccata, spenta. Ed ecco che in queste stesse ore della crisi politica che non mostra sbocchi tranquillizzanti, irrompe una questione sociale scandalosa. Più scandalosa di tante bruttezze di cui ci cibiamo tutti i giorni, poiché spesso passa inosservata o nell’indifferenza generale.
Le cifre sopra riportate sono ancora più eloquenti se si considera la fonte. Non provengono da uno dei tanti istituti di ricerca magari accusati di scarsa credibilità. La fonte è la Banca d’Italia, una specie di riconosciuto massimo tribunale del sapere economico. Che ha pronunciato, con le sue cifre asettiche, una requisitoria. Ma chi sono i responsabili di questa Italia così iniquamente diseguale? Perché i redditi delle famiglie dei lavoratori (non di altre categorie sociali) sono cresciuti in sei anni, dal 2000 al 2006, dello 0,96%? Una cifra infima. Corrisponde ad un blocco quasi totale dei salari, dovuto al fatto che gli aumenti in busta paga erano spazzati via dagli aumenti nei negozi e nei servizi. Perché i giovani che lavorano sotto i 30 anni dispongono di un reddito di meno di 22.500 euro l’anno?
Per dare una risposta compiuta bisognerebbe rifare il cammino di questi anni tra governi scialacquoni che abbassavano certo le tasse di quel 10 per cento al vertice della piramide, ma per poi non tenere sotto freno i conti pubblici. Fino all’ultima esperienza governativa che al giusto rigore su quei conti, ha accompagnato una seria e fruttuosa lotta agli evasori fiscali ma ha avuto dubbi e titubanze nell’affrontare il doveroso capitolo della tassazione delle rendite finanziarie (sempre quelle del 10 per cento). Un tabù intoccabile. Così come la coalizione di centrosinistra è stata dilaniata e ritardata da divisioni e contorcimenti sulle cose da fare in materia sociale. Basti pensare alle vicissitudini del decreto sul welfare. Eppure il governo Prodi aveva cominciato un cammino, fatto di prime misure parziali, magari senza ben spiegare i possibili approdi finali, la strategia, gli sbocchi. Senza sapere indicare un possibile modello sociale capace di capovolgere quella piramide descritta oggi dalla Banca d’Italia.
E poi c’è stata spesso per milioni di lavoratori italiani la fatica di strappare il rinnovo dei contratti di lavoro, nella loro battaglia continua per ottenere modeste “mercedi” e diritti insopprimibili. Nei confronti di imprenditori che spesso, come dimostrano le recenti sortite di chi pure intende assume vesti moderne. Uomini d’industria che preferiscono alla dialettica sindacale, al riconoscimento di ruoli diversi, l’elargizione unilaterale, apparentemente appariscente.
Ed ora? Ora ci penserà la pimpante coalizione di Berlusconi, Mastella, Fini, e quant’altri? È anche di fronte a questi dati sociali assordanti che bisogna riflettere. La “crisi” è anche questa. Non si può, così, non sperare nei tentativi, in primo luogo quello del Capo dello Stato, di rendere meno pesanti non solo le vicende di oggi ma anche quelle di domani. Per impedire che si prosegua nel ricorso a impianti elettorali che producono governi poco produttivi per questa Italia. E soprattutto per quelle famiglie in attesa descritte dal rapporto della Banca d'Italia.
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