La collettività sfrutta la politica per esercitare, in maniera soprattutto indiretta, quella sovranità che l’art. 1 della Costituzione le attribuisce senza sottintesi:
“…. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
La critica politica deve provocare una reazione per far avere alla società risposte sul modo di gestire la cosa pubblica. La sovranità che l’art. 1 della Costituzione affida al popolo confluisce anche nell’interesse alla critica politica, poiché il suo esercizio permette il dibattito sulla sovranità stessa di chi già esercita l’egemonia territoriale.
La critica politica, espressa dalla collettività, consente, solamente per un costruttivo interesse pubblico, che l’attività di personaggi pubblici venga attaccata nelle sue fasi, proprio per stimolare una reazione, alimentando così il dibattito democratico su una questione politica, ovviamente di interesse pubblico.
Da ciò si producono effetti soprattutto al riguardo della verità dei fatti su cui la critica si basa. Quando la critica si indirizza su fatti precisi, documentati e testimoniati, allora non si può ignorare la loro verità. Ma quanto più generica è la critica, tanto più sconnessa risulterà la verifica di chi dovrà rispondere. Se dunque non viene garantita un’ampia libertà di argomentazione, che fa della critica politica un fondamentale ed immancabile controllo del potere, i detentori del potere stesso si vedono costretti a rispondere alle domande poste loro attraverso la proposizione di ulteriori argomenti critici.
Quando la critica politica non si basa su fatti specificati essi invece non hanno legittimità. Perciò si potrebbe sconfinare nel gratuito insulto. Si arriva all’insulto proprio quando la meschinità delle argomentazioni trattate rende impossibile una replica su basi razionali.
Ad esempio affermare che un avversario politico è un “pidocchio” coincide con un semplice insulto. Perché non vi è alcun fatto su cui basare la critica e su cui replicare. Ancora meno può essere definita come esposizione razionale. Inoltre non vi sarebbe interesse pubblico a sapere se un individuo può essere considerato un "pidocchio".
Contrariamente, se si qualifica come “lottizzato” un soggetto politico allora si potrebbe parlare di critica politica. Questo termine indica chi occupa una carica pubblica per effetto del suo pensiero politico, perciò ora la critica descrive un preciso fatto seguito da un’argomentazione razionale, contro la quale si possono contrapporre argomentazioni razionali che mirino a negare la validità della prima. Infatti non ci sono dubbi che esista un interesse pubblico riguardo la prassi della lottizzazione.
Ormai in tutta l’Italia, compresa Ussana, la critica accompagnata da valide argomentazioni non trova risposte; a quesiti o ad interrogazioni (come quelle che si presentano nei consigli comunali) si sentono contro-domande o rumorosi silenzi. Tuttavia la critica politica andrebbe accettata; inoltre la politica critica non potrà mai mancare, perché lo richiede la democrazia e affinchè i veri democratici non si rivelino miseri fantocci.
“…. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
La critica politica deve provocare una reazione per far avere alla società risposte sul modo di gestire la cosa pubblica. La sovranità che l’art. 1 della Costituzione affida al popolo confluisce anche nell’interesse alla critica politica, poiché il suo esercizio permette il dibattito sulla sovranità stessa di chi già esercita l’egemonia territoriale.
La critica politica, espressa dalla collettività, consente, solamente per un costruttivo interesse pubblico, che l’attività di personaggi pubblici venga attaccata nelle sue fasi, proprio per stimolare una reazione, alimentando così il dibattito democratico su una questione politica, ovviamente di interesse pubblico.
Da ciò si producono effetti soprattutto al riguardo della verità dei fatti su cui la critica si basa. Quando la critica si indirizza su fatti precisi, documentati e testimoniati, allora non si può ignorare la loro verità. Ma quanto più generica è la critica, tanto più sconnessa risulterà la verifica di chi dovrà rispondere. Se dunque non viene garantita un’ampia libertà di argomentazione, che fa della critica politica un fondamentale ed immancabile controllo del potere, i detentori del potere stesso si vedono costretti a rispondere alle domande poste loro attraverso la proposizione di ulteriori argomenti critici.
Quando la critica politica non si basa su fatti specificati essi invece non hanno legittimità. Perciò si potrebbe sconfinare nel gratuito insulto. Si arriva all’insulto proprio quando la meschinità delle argomentazioni trattate rende impossibile una replica su basi razionali.
Ad esempio affermare che un avversario politico è un “pidocchio” coincide con un semplice insulto. Perché non vi è alcun fatto su cui basare la critica e su cui replicare. Ancora meno può essere definita come esposizione razionale. Inoltre non vi sarebbe interesse pubblico a sapere se un individuo può essere considerato un "pidocchio".
Contrariamente, se si qualifica come “lottizzato” un soggetto politico allora si potrebbe parlare di critica politica. Questo termine indica chi occupa una carica pubblica per effetto del suo pensiero politico, perciò ora la critica descrive un preciso fatto seguito da un’argomentazione razionale, contro la quale si possono contrapporre argomentazioni razionali che mirino a negare la validità della prima. Infatti non ci sono dubbi che esista un interesse pubblico riguardo la prassi della lottizzazione.
Ormai in tutta l’Italia, compresa Ussana, la critica accompagnata da valide argomentazioni non trova risposte; a quesiti o ad interrogazioni (come quelle che si presentano nei consigli comunali) si sentono contro-domande o rumorosi silenzi. Tuttavia la critica politica andrebbe accettata; inoltre la politica critica non potrà mai mancare, perché lo richiede la democrazia e affinchè i veri democratici non si rivelino miseri fantocci.
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