PARTITO DEMOCRATICO di Ussana - Circolo "A. Gramsci" - Cagliari - Sardinia - Italy.
lunedì 29 settembre 2008
Contro la dispersione scolastica, gli interventi della Giunta regionale
mercoledì 24 settembre 2008
USSANA: Pronto un progetto da 70 mila euro
Barriere architettoniche via da San Sebastiano. Chiesa aperta e accessibile a tutti, anche ai disabili. Addio a Ussana alle barriere architettoniche: gli ostacoli che impedivano ai
portatori di handicap di entrare nella chiesa parrocchiale di San Sebastiano, saran no presto solo un ricordo. «Realizzeremo un ingresso laterale destinato ai disabili», annuncia l'assessore ai Lavori pubblici Luigi Littera. Il progetto è pronto: con 70 mila euro (provenienti dal bilancio comunale) niente più barriere per gli invalidi, certi in sedie a rotelle, che finora hanno avuto in pratica precluso l'accesso alle funzioni religiose. Addio anche alle polemiche. Sulle difficoltà dell'accesso dei portatori di handicap alla parrocchia, a Ussana, si erano infatti regi- strate in passato prese di posizione e proteste. «L'abbattimento della barriere architettoniche in chiesa rimane solo una promessa», aveva segnalato qualche tempo una donna ussanese alla rubrica delle lettere all'Unione Sarda. «Qualcuno ha voluto strumentalizzare», hanno sempre replicato in Comune. Il progetto "chiesa aperta a tutti", rappresenta il completamento del vasto programma di restauro e valorizzazione della chiesa principale del centro campidanese. Prima era toccato al sagrato, ora il nuovo intervento in grado anche di mettere in risalto lo stile artistico-architettonico dell'edificio, ma non assolutamente di risolvere i problemi alla struttura dell'edificio: sia all'interno dove si era verificata una caduta di calcinacci dalla cupola, che al campanile, dalla cui sommità a maggio scorso era crollato l'orologio. «Servono molti soldi e ci stiamo attivando per reperirli», ripete l'assessore Littera.
Ignazio Pillosu
fonte: [http://www.unionesarda.it/]
venerdì 19 settembre 2008
Sardegna prima regione europea totalmente sul digitale

mercoledì 17 settembre 2008
Veltroni aveva ragione: il lupo perde il pelo ma non il vizio!
prende così le distanze dalle ultime dichiarazioni del Presidente della Camera Gianfranco Fini che, dopo le polemiche scatenate dalle dichiarazioni di La Russa e Alemanno, aveva chiaramente invitato gli esponenti di Alleanza Nazionale a riconoscersi nei valori dell'antifascismo. Ma evidentemente, il suo messaggio non ha fatto breccia. Iadicicco parte da una constatazione: «Circa due anni fa, non nel 1943, il più importante sito della rete antifascista italiana, Indymedia, pubblicò un articolo di commento a una iniziativa di Azione Giovani di Roma e ritenne utile mettere vicino al mio nome anche il mio indirizzo di casa, con l'evidente intento di puntare l'indice contro di me e di indicarmi come bersaglio da colpire». Da questa constatazione il presidente di Azione Giovani Roma arriva a questa ironica domanda: «Come potrei dichiararmi antifascista?». Insomma, la sua è una questione personale. Ma non solo: «Sono andato un pò indietro nel tempo fra gli anni Settanta e Ottanta, comunque non nel 1943, e mi è venuto alla mente che alcune decine di ragazzi come me, che facevano quello che faccio io oggi, sono stati uccisi dall'odio degli antifascisti e francamente a quel punto sono crollato» continua la lettera. Iadicicco arriva a questo punto alla sua conclusione: «Ce l'ho messa tutta per trovare un motivo valido per essere antifascista ma non l'ho proprio trovato anzi ne ho trovati molti per non esserlo». Ma quella di Iadicicco non è solo la lettera di un giovane nostalgico. È la lettera di chi parla a nome dei giovani di An, per i quali chiede a tutti comprensione: «Ti prego di capirmi - dice ai lettori - e con me tutti i ragazzi di Azione Giovani» perchè «noi non possiamo essere, non vogliamo essere e non saremo mai antifascisti». Pina Picierno, ministro ombra delle Politiche giovanili, dopo aver definito «preoccupante» il documento di Iadicicco afferma: «Non è che l'ennesima testimonianza del fatto che, purtroppo, le coraggiose affermazioni di Fini alla festa dei giovani di An non sono condivise dalla stragrande maggioranza del partito». Soprattutto da quella parte giovane, quella chiamata a costruire il futuro. Evidentemente ancora ancorata al passato.lunedì 15 settembre 2008
Governare col trucco
Laura Guasti, Firenze
purtroppo, è che è un trucco. È il gioco delle scatole: una bella scatola col fiocco da esibire, l’altra marcia da nascondere. Le tre carte. I limoni legati col nylon alle piante del G8, la calza sull’obiettivo che maschera le rughe. È sempre quel trucco lì, una toppa, e poi via per settimane a parlare del fiocco. È evidente che lo scopo della proposta Carfagna non è quello di combattere la prostituzione: è un progetto di decoro urbano, il suo. Una questione di ordine, di eleganza dell’inquadratura. L’obiettivo è mostrare strade sgombre di viados. Guardate che pulizia. Se volesse combattere la prostituzione dovrebbe occuparsi della tratta di essere umani, di mafia del commercio sessuale, di chi fa entrare in Italia milioni di ragazzine senza documenti e poi le riduce in schiavitù, di come faccia e di chi glielo consenta. Dovrebbe poi anche occuparsi dell’altra prostituzione, quella tutta italiana e non di strada: la prostituzione «pulita» delle studentesse che ricevono in studi che sembrano quello del dentista e poi la sera vengono a fare la baby sitter a casa tua, ragazze ben pagate e ben consapevoli della loro scelta, del resto motivata dalla richiesta di un esercito di uomini «per bene» che saldato il conto tornano in ufficio. Non lo fa, naturalmente. Allo stesso modo Gelmini esibisce la sua riforma come quella del grembiule e dei voti in pagella, un bel ritorno all’ordine antico: peccato che tagli 90mila posti da maestro e azzoppi la scuola. La scatola vuota e ben ripulita dai debiti della cordata Alitalia, le tasse comunali che cambiano nome, l’esercito che fa la guardia alle discariche ma si dimentica dei treni dei tifosi. È sparita la camorra, a Napoli? Gomorra era uno scherzo? Certo che no, ma conta la foto. Un bell’annuncio, un bel grembiule blu, quattro soldati con la mitraglietta cosa vuoi che sia se poi alle volanti hanno tagliato la benzina. Devono solo stare fermi, tanto. E poi tutti giù a parlare di estetica, pazienza per l’etica.domenica 14 settembre 2008
"Fascismo? Fini chiude una ferita, non so il suo mondo"
Gianfranco Fini, ha condannato totalmente il fascismo, cercando di chiudere le polemiche che per tutta la settimana sono state alimentate da Gianni Alemanno e Ignazio la Russa. Di fronte ai ragazzi di destra di Azione Giovani, Fini è stato molto duro: “Chi è democratico è a pieno titolo antifascista, la destra deve riconoscersi nei valori dell'antifascismo. I resistenti stavano dalla parte giusta, i repubblichini dalla parte sbagliata” e dopo i fischi ricevuti ha continuato: “Non si può equiparare chi stava da una parte e dall'altra. Onestà storica è compito di una destra che vuole fare i conti con il passato e dire che non è equivalente chi combatteva per una parte giusta e chi, fatta salva la buona fede, combatteva dalla parte sbagliata. La destra politica italiana e ha maggior ragione i giovani devono senza ambiguità dire alto e forte che si riconoscono in alcuni valori della nostra Costituzione, come libertà, uguaglianza e solidarietà o giustizia sociale. Sono tre valori che hanno guidato il cammino politico e ribadire che la destra vi si riconosce è un atto doveroso. Se in Italia - ha aggiunto Fini - non è stato così agevole, è perché non c'è stata una destra in grado di dire che ci riconosciamo in pieno nei valori antifascisti". Ed è sembrato rivolgersi ad Alemanno quando ha detto che confrontandosi con la storia “serve la consapevolezza che un periodo storico va giudicato nel suo complesso, e il giudizio complessivo da parte della destra del periodo del fascismo storico, dal 1922 al 1945 deve essere negativo, in ragione della limitazione e poi della soppressione della libertà. Non possiamo prescindere dai dati storici, il passato non lo possiamo né ignorare, né mistificare. Il presidente della Camera ha scandito a chiare lettere che non solo le leggi razziali sono state colpe gravi del fascismo, ma anche la soppressione della libertà, la negazione dell'uguaglianza e la dichiarazione della guerra”. Il segretario del PD fa notare come “Napolitano e Fini sono dovuti intervenire come figure istituzionali, hanno dovuto fare quelle affermazioni per via delle parole di chi attualmente è sindaco di Roma e Ministro della Difesa. È un problema istituzionale perché non hanno parlato per sventatezza, ma perchè pensano realmente quello che hanno detto sul fascismo. E secondo me è più grave”. Così le parole di Fini “hanno chiuso una ferita. Ma per riaprirla può bastare un’intervista, una dichiarazione avventata. Spero che non si doppino parole e pensieri e ci si metta davvero in sintonia con la nostra Costituzione”.giovedì 11 settembre 2008
martedì 9 settembre 2008
Il Papa in Sardegna: anche Ussana presente
Paolo VI e Giovanni Paolo II, anche papa Ratzinger dunque ha voluto rendere omaggio alla Madonna di Bonaria nel centenario della sua proclamazione a Patrona massima della Sardegna. Più di centomila persone si sono radunate di buon ora nel piazzale antistante la scalinata della basilica e nelle strade adiacenti al sagrato. Fra essi ha preso parte all’eccezionale evento anche un nutrito gruppo di parrocchiani ussanesi, che, per arrivare in tempo alla celebrazione eucaristica, si sono alzati di buon’ora per partire alla volta di Cagliari intorno alle sette del mattino. Alla messa ha preso parte anche il Coro polifonico parrocchiale ussanese, che, al suo completo, ha eseguito, assieme ad altri 600 coristi provenienti da tutta l’isola, i canti che hanno animato la liturgia. L'intero coro è stato diretto dal sacerdote ussanese, don Albino Lilliu. Fin dalle prime ore del giorno, la città capoluogo si presentava ai pellegrini piena di gruppi provenienti da tutta l’isola. Unici mezzi circolanti i tantissimi pullman carichi di gruppi e le navette del Ctm che, per tutta la mattina, hanno fatto spola, carichi di pellegrini, dai parcheggi fino al viale Colombo. Una grande emozione ha suscitato in tutti i presenti il passaggio della “papa mobile”, che è arrivata nell’area intorno alle dieci e un quarto. In tutto il percorso, sono stati davvero imponenti gli applausi e i saluti dei presenti, i quali, armati di fotocamere, videocamere e telefonini, hanno immortalato il momento del passaggio di Benedetto XVI in ogni settore. In questo modo, ciascuno potrà dire di essere stato presente a questo momento davvero unico. Un grande bagno di folla per il Santo Padre, che è apparso a tutti, grazie ai numerosi maxischermo collocati in tutta l’area, molto emozionato e felice di essere venuto, come già i suoi predecessori, a visitare la comunità cattolica sarda. Rivolto ai presenti, Benedetto XVI ha lanciato parole forti, che sicuramente faranno discutere, sull’esigenza di avere una nuova classe di politici cattolici. Già i giornali di lunedì hanno ripreso in prima pagina il discorso di Ratzinger. L’abbraccio dei fedeli sardi non è stato limitato alla sola mattinata; nel pomeriggio, infatti, giovani e meno giovani hanno accolto Benedetto XVI nel largo Carlo Felice. Rivolto ai tanti ragazzi presenti ha detto: «Il possesso dei beni materiali e l’applauso hanno sostituito il lavorio su se stessi che serve a formare lo spirito e la personalità autentica. Cari giovani, si rischiano pericolose scorciatoie nella ricerca del successo, consegnando la vita a esperienze precarie e fallaci». Ha poi aggiunto: «I valori importanti per costruire una società fraterna e solidale […] sono famiglia, formazione, fede. Sono queste le vie che dovete seguire per garantirvi una seria formazione intellettuale e morale». L’aereo con a bordo il pontefice è decollato intorno alle 19 dall’aeroporto di Elmas; ultimo atto di questa eccezionale giornata che tutti i sardi ricorderanno con profonda emozione. lunedì 8 settembre 2008
Ritorno al passato? (Ussana Antifascista)
giovedì 4 settembre 2008
Le buone notizie italiane non sono notizie
L'altro film è il ritratto di uno dei più misteriosi e ambigui personaggi del dopoguerra italiano, Giulio Andreotti. “Il Divo” è il titolo del film sul più volte presidente del consiglio che viene sospettato di simpatie verso la mafia. Il film è la naturale continuazione di molti altri eccellenti film sugli oscuri segreti del passato dell'Italia.

Niente di nuovo sotto il sole, dunque. Eppure è la prima volta da parecchio tempo che il cinema italiano riceve un’accoglienza così calorosa all’estero. Il mio parere personale è che la crisi culturale, economica, politica e sociale del paese stia finalmente cominciando a lasciare un'impronta creativa nell'arte.
Molti analisti sociali italiani sospettano invece che questo tipo di film funzionino a livello internazionale perché non fanno altro che confermare al pubblico straniero l’immagine negativa dell’Italia. Il popolo che sceglie Silvio Berlusconi come presidente del consiglio continuerebbe quindi a inquietarsi a causa di ciò che gli altri “davvero” pensano degli italiani stessi. Perché non raccontate mai tutte le cose allegre, simpatiche e belle che facciamo?
Questo tipo di commenti giunge talvolta anche da versanti diplomatici: perché riferisci solo le notizie negative dell’Italia? Perché non fai un servizio sulle forze di pace italiane in Afghanistan ed in Libano, invece della tragedia rifiuti in Campania, della corruzione politica e della mafia?
“No news are good news” [Nessuna nuova, buona nuova, N.d.T.], si è soliti dire. Si potrebbe anche girare la frase e dire che “good news are no news” [Le buone notizie non fanno notizia , N.d.T.]. Questo lo sanno quasi tutti nel nostro settore, mentre risulta praticamente incomprensibile per chi vede il giornalismo dall’esterno.
Così, mentre “Gomorra” ed “Il Divo” riscuotono grandi successi all'estero, gli italiani si siedono sul divano per vedere “I Cesaroni” in TV. La serie tivù sulla famiglia Cesaroni, del quartiere Garbatella di Roma, ha battuto ogni record di pubblico della televisione italiana. Il Corriere della Sera ha appena cominciato a vendere il dvd della serie insieme al giornale ad un prezzo vantaggioso. Il successo è assicurato. TUTTI guardano “I Cesaroni”.
La serie racconta la dura realtà quotidiana attraverso la vita di due fratelli, di cui uno è vedovo e gestisce un ristorantino alla Garbatella. L’uomo si è risposato con un suo amore adolescenziale, dopo che lei si è separata dal marito. Insieme hanno cinque figli, di cui due sguaiatamente bellocci ed innamorati l’uno dell’altra. La donna ha vissuto a Milano molti anni, e così sia il sud che il nord sono rappresentati. L’altro fratello è scapolo e verginello! Tutti i tentativi di appaiarlo a qualche simpatica signora sono vani. Ovviamente, almeno fino ad ora, non è gay, il Papa ce ne scampi.
Di quando in quando, “I Cesaroni” tratta anche di questioni “moderne”, come l’omosessualità e l’immigrazione, ma nel complesso la serie esprime soprattutto l’idealizzazione tutta italiana della famiglia come istituzione e come unico porto sicuro dell’individuo in una società ostile e caotica.
Nella serie tutti sono gentili e le cose finiscono sempre bene. Tutti sono responsabili delle proprie azioni e chiedono scusa quando sbagliano. Tutti sono imbarazzantemente puri e perfettini come gli italiani reali. Ma qui cominciano e finiscono i paralleli con la realtà. “I Cesaroni” mostra purtroppo la famiglia e la società italiane così come gli italiani vorrebbero che fossero, non come sono. Questo dramma tivù, zuccheroso ed armonico, non si vende facilmente all’estero. È più facile ingannare sé stessi che gli altri.
mercoledì 3 settembre 2008
"A scuola tornano i voti"
ritorno del grembiule, il ritorno alla maestra unica, il ritorno della buona condotta e un'altra messe di ritorni, tutti implicitamente o esplicitamente motivati dalla ripulsa del famoso “spirito sessantottino” che con il suo venefico lassismo avrebbe devastato la scuola italiana nel seguente quarantennio. Volendo, si potrebbe obiettare che tutti questi ritorni hanno qualcosa di refluo e di platealmente nostalgico, dunque poco attinente al concetto di “nuovo” e “innovativo” che riluce sulle insegne della destra trionfante. Più che alla scuola gentiliana alludono a quella deamicisiana, con i buoni e i cattivi bene incolonnati sulla lavagna (sempre che arrivino i soldi per comperare il gessetto). Un pò come se il ministro del Lavoro volesse abolire il weekend lungo, culla della fannullaggine privata e pubblica, quello dello Spettacolo rilanciare la censura, quello degli Interni le cariche a cavallo, e via via rimpiangendo quell'Italietta finto-proba, moralista e classista che il povero Sessantotto provò in effetti a seppellire, salvo poi inciampare, nel 2008, nelle sue ossa bene aguzze. Ma fare il ministro della scuola, in questo paese e con questa scuola depressa e impoverita, è un mestiere così difficile che non regge il cuore a infierire più di tanto. La buona volontà del ministro merita la sufficienza (un “sei politico”, parlando da sessantottini incanutiti), grembiule e voti e maestra unica possono perfino trovare qualche pedagogista consenziente, e pazienza se non una delle novità annunciate è esente da un forte odore di naftalina. Per contro, non c'è genitore o docente con il sale in zucca che non avverta la necessità di irrigidire qualche regola, e rattoppare qualche falla provocata dal deficit di autorevolezza degli adulti. Quello che però vorremmo infine sapere, da un ministro che annuncia di voler rivoltare la scuola e redimerla dei suoi peccati, è se non crede che, nel pacchetto di provvedimenti che va snocciolando un giorno sì e l'altro pure, manchino almeno due intenzioni ben più strutturali della riforma delle pagelle. La prima intenzione è restituire ai docenti dignità sociale e dunque un censo adeguato, senza il quale è puramente insensato pretendere che le persone di qualità (del Nord e del Sud) puntino alla carriera scolastica. La passione e la vocazione, da sole, non bastavano nemmeno a tenere insieme la scuoletta del Regno, dove pure il maestro e il professore godevano della venerazione di un popolo ancora semianalfabeta: figuriamoci oggi, che l'intero apparato pubblicitario-televisivo (se il ministro non ne ha mai sentito parlare, chieda al suo premier) ha inculcato in grandi e piccini l'idea che i quattrini sono tutto, e tutto il resto è appena una variabile di scarso interesse. Gli analfabeti si prostravano ai maestri, gli attuali analfabeti di ritorno li disprezzano. La seconda intenzione sarebbe ridare alla scuola pubblica la sua vecchia, indiscussa centralità ideologica (sì, ideologica) che è tutt'uno con la sua identità, sostanzialmente immutata dal Regno al fascismo alla Repubblica: quella di cardine formativo di un popolo, di uno Stato, di una comunità di cittadini. L'idea balorda e pericolosa -sovversiva, direi, perfino più del Sessantotto…- che la scuola pubblica sia solamente una delle scuole, una delle possibilità formative, non solo ha stornato risorse altrove, ma ha parzialmente svuotato di orgoglio e di certezze l'intero ambiente: esattamente come se le Forze Armate sapessero di essere parificate a eserciti privati, a pari titolo destinatari di denaro pubblico nel nome della “libertà di scelta”. In parallelo, avanzava nel Paese l'idea che “pubblico” fosse comunque sinonimo di inerzia, parassitismo e qualità inferiore: per la prima volta nella storia d´Italia. In una comunità di consumatori e non più di cittadini, di “profili professionali” da valutare e impostare fino dalla prima infanzia e non più di giovani da formare alla cultura e alla dignità personale, come potrebbe mai rimotivarsi una scuola pubblica svilita dai suoi stessi governanti, stretta tra la cultura aziendalista e quella consumista, travolta dalla rivoluzione tecnologica senza poterla affrontare ad armi pari (che fine ha fatto la promessa proto-Berlusconiana di “un computer per ogni studente”?), insicura del suo presente economico e, quel che è peggio, del suo futuro istituzionale? Creda, ministro Gelmini, nessuno può permettersi, con i tempi che corrono, di contrapporre pregiudizi “libertari” ai suoi pregiudizi vagamente autoritari. Ma sconcerta non sentire più, da molto tempo, un orgoglio scolastico che si fondi sull'orgoglio pubblico, sulla volontà politica (tradita anche dai governi di centrosinistra) di fare della scuola di Stato, costi quel che costi, la prima anzi la primissima delle priorità politiche e finanziarie. Gli insegnanti si sentono soprattutto sgridati, accusati di essere impreparati, sciatti, assenteisti e magari meridionali. E il loro essere malpagati, secondo lo spirito dei tempi appare più come una colpa che come un torto subito. Avrebbero bisogno dell'esatto contrario: di un ministro che batta i pugni sul tavolo e pretenda risorse, quattrini e rispetto in pari misura. Un ministro che sia il primo dei docenti e non la loro controparte. Come può pretendere rispetto e stima dagli studenti una scuola che non ha più il rispetto e la stima dei politici che la reggono?Michele Serra




