mercoledì 11 novembre 2009

Tutti i muri che restano

di Walter Veltroni
Riportiamo stralci dell’intervento pronunciato ieri a Berlino

Se le date e i luoghi hanno un significato, il fatto che la decima edizione del Summit dei Premi Nobel per la Pace si svolga proprio qui a Berlino, a vent’anni esatti dalla caduta del Muro, assume un valore particolare, simbolico. Quel giorno di novembre del 1989 resta qualcosa di indimenticabile. Il Muro eracome una cicatrice che attraversava questa città e l’Europa intera. Non era solo la “cortina di ferro” che separava, anche fisicamente, milioni di individui dalla libertà e dalla democrazia. Era come una bussola. Stabiliva una rotta obbligata. Differenziava l’amico dal nemico. Distingueva la verità dall’errore. O si stava da una parte o dall’altra. Funzionava così, il tempo chiuso delle ideologie. Venuto giù il Muro, sembrò che tutto potesse cambiare. Le distanze sembrarono accorciarsi e le diffidenze parvero cadere. Le cose sonoandate ben diversamente. La realtà è stata decisamente un’altra. Sì, la Germania è tornata unita e così anche il popolo tedesco. E il cammino dell’Europa è andato molto avanti, più di quanto forse nonsi credesse.Maci sono stati anche la guerra e l’odio etnico a ridisegnare i confini dei Balcani. Ci sono state Sarajevo e Srebrenica. Sì, la globalizzazione, la mondializzazione dei mercati e l’integrazione dei sistemi economici a livello continentale hanno significato possibilità e nuove opportunità. Ma sono avanzate anche nuoveforme di alienazione, nuove solitudini, nuove forme di esclusione sociale. Il divario tra Nord e Sud ha assunto le dimensioni di un abisso.

Le persone che soffrono la fame hanno appena raggiunto la cifra record di un miliardo. E l’umanità è entrata in questo XXI secolo attraverso la porta di fuoco dell’11 settembre del 2001.
Davvero tutto si incarica di dire che la storia non è affatto finita,come invece scriveva qualcuno dopo gli avvenimenti dell’‘89. Qui a Berlino, parlando alla Siegessaule, ai piedi della colonna dalla cui sommità gli angeli osservano le miserie e la grandezza dell’umanità, l’allora candidato, Barack Obama, diceva: «I muri tra vecchi alleati non possono rimanere in piedi. I muri tra i paesi più ricchi e quelli più poverinonpossono rimanere in piedi. Quelli tra le etnie e le tribù, tra i nativi e gli immigrati, tra i cristiani, i musulmani e gli ebrei, non possono rimanere in piedi». È così. Ci sono ancora molti muri da abbattere. E ci sono altrettanti, se non di più, ponti da costruire. Nuovi ponti. Perché il rischio più grande è quello che persone e popoli siano tentati dall’apparente sicurezza della chiusura identitaria. Ma chiusura e muri vogliono dire separazione e indifferenza. Quella per colpa della quale milioni di esseri umani continueranno a morire di fame, di Aids e di malaria in Africa. Quella che contribuisce alla diffusione del virus del razzismo e dell’antisemitismo. Quell’indifferenza complice delle tragedie che quotidianamente si consumano nei mari attraversati dai barconi carichi della disperazione e della speranza di chi abbandona la propria terra. Complice della irrisolutezza con cui la comunità internazionale si pone di fronte ai tanti conflitti dimenticati nel mondo. Il dialogo, la cooperazione: è l’unica strada veramente percorribile per sperare di costruire un’epoca di pace.

È la complessità, che chiama la cooperazione. E a questo proposito io credo che i valori che portarono alla creazione delle Nazioni Unite, e cioè l’universalismoe il multilateralismo, siano oggi più attuali di quanto non fossero alla fine della seconda guerra mondiale. Oggi più di allora. Perché una cosa fondamentale resta, delle speranze nate con la caduta del Muro e con la fine delle ideologie del Novecento: pur con tutti i rischi del nostro tempo, pur fra tutti gli ostacoli ben visibili lungo il cammino, le nostre società sono più aperte di quelle di ieri, e nelle mani degli uomini ci sono più strumenti e più possibilità per progredire. È appena trascorso un anno da quel 4 novembre in cui Barack Obama è stato eletto Presidente degli Stati Uniti. Io credo che il significato più profondo di quelle elezioni è che la speranza può vincere sulla paura. È che l’apertura agli altri è più forte della chiusura. È che il cambiamento può essere un obiettivo più grande e affascinante della conservazione. È facendoci guidare da questi principi che potremo allontanare da noi i rischi più grandi che le sfide del nostro tempo ci insegnano ad imboccare l’unica strada possibile: quella della coesione sociale, dell’equilibrio ecologico, del dialogo, della pace.

http://www.unita.it/news/mondo/91060/tutti_i_muri_che_restano

Nessun commento: